Quando il giovane maestro e compositore Francesco Lanzillotta
ha impugnato il microfono “gelato” per ringraziare, nella persona
del Presidente Mele, il Lions Club Roma Aurelium che aveva voluto premiarlo
con una borsa di studio per le sue moltissime attività già svolte
e per quelle che ancora lo attendono, la mia attenzione è stata attratta
dalle dita lunghe e affusolate con le quali avvolgeva il piccolo strumento elettronico.
E la mia immaginazione me le ha trasportate sulla tastiera di un pianoforte,
mosse con dolcezza e sentimento nella esecuzione di una melodia affettuosa come
il “Chiaro di luna” di Beethoven, oppure frenetiche e nervose nell’interpretare
uno dei tantissimi brani del virtuoso Liszt. Sempre e comunque non lasciandosi
impressionare dalla distanza tra le varie ottave della tastiera, padroneggiate
con disinvoltura e sicurezza.
Identica plastica immagine avrei potuto avere se le dita fossero state piegate
o completamente distese sulle corde di un violino, alla ricerca della giusta
nota fissata dal russo Ciajkovskij nel suo notissimo concerto per violino.
E più tardi, assistendo alla proiezione di un DVD che lo vedeva impegnato
a dirigere un’orchestra di ampio organico che eseguiva alcune parti della
Messa da Requiem di Giuseppe Verdi, ho avuto modo di constatare che al movimento
delle mani, da me immaginato, si era aggiunto quello delle braccia e del capo,
con una gestualità imperiosa e ipnotica allo stesso tempo, con la quale
dominava sia i “soli”, sia il coro e l’orchestra.
Riconosco che per me non è facile dare un giudizio sulla efficacia della
gestualità di un direttore d’orchestra mentre si trova sul podio:
ci possiamo trovare di fronte a quella pacata e signorile di un Giulini, a quella
appena accennata di un Sawallish, a quella ieratica di un Muti. Ad una precisa
domanda potrebbero rispondere soltanto per primi gli orchestrali che guardano
il volto e le mani del loro direttore; quindi i critici musicali e, per ultimi,
gli sprovveduti come il sottoscritto, che restano affascinati da quella figura
che ben oltre la metà del diciannovesimo secolo ancora non esisteva.
Certamente, la composizione che il Maestro Lanzillotta ha voluto offrire alla
nostra attenzione ha rappresentato un saggio della sua bravura: a memoria, senza
l’ausilio dello spartito, chiamando all’entrata di volta in volta
e con vigore strumenti, sezioni di orchestra o l’orchestra intera, come
pure le voci, ha diretto la parte forse più spettacolare della composizione
verdiana, il “Dies irae”, di una drammatica veemenza, scaturita
dalla inesauribile vena musicale del Cigno di Busseto all’età di
oltre sessant’anni ed eseguita per la prima volta nel 1874 in memoria
di Alessandro Manzoni.
I critici musicali dell’epoca videro in questa “Messa da requiem”
l’abbandono, da parte di Verdi, di quella che fino a quel momento era
stata la sua sigla melodrammatica. Giudizio errato: se ascoltiamo con attenzione
la Messa, possiamo constatare che si tratta di sette atti di una immensa tragedia
posta in musica, che ha come libretto antiche fonti liturgiche di grande forza
scenica. E poi la smentita più clamorosa a quanto sostenuto da una parte
della critica la fornì, in prosieguo di tempo, lo stesso Verdi con la
sua successiva produzione, chiusa con il trionfante “Falstaff”,
composto quando aveva già superato gli ottanta anni di età.
Ma torniamo al nostro Maestro Lanzillotta, il cui curriculum non può
non destare stupore: anche se vogliamo giudicarlo a misura, occupa un foglio
continuo di carta di almeno mezzo metro. E allora sorge spontanea una domanda:
a soli trentatre anni, come avrà fatto ad inanellare tutti quei premi,
i riconoscimenti, a produrre tutte quelle composizioni per il cinema e il teatro,
a collaborare con decine di artisti, a dirigere moltissime orchestre praticamente
in tutto il mondo. Soltanto quelle citate nel curriculum sono una dozzina.
Di tutte le manifestazioni dell’anima che ha raggiunto lo stadio più
alto della sua evoluzione, dalla vegetativa alla sensitiva, da questa alla razionale
e infine alla spirituale, la musica rappresenta senza dubbio quella più
coinvolgente e di più rapido effetto. Ma anche un dipinto o una poesia
possono commuoverci. E questo lo dobbiamo a colui che ha saputo leggere dove
tutti gli altri non sono stati in grado di farlo. Scrive Vito Mancuso: “Quando
Mozart componeva, non inventava nulla, sentiva. Quando Rembrandt dipingeva,
non inventava nulla, vedeva.” … “Diceva Mozart: tutto è
già stato composto, ma non ancora trascritto.” L’uno e l’altro
sono grandi non perché hanno inventato qualcosa che prima non c’era,
ma perché hanno visto e scoperto una realtà che c’era da
sempre.
Ora, quando incontriamo una persona che, con grande lavoro e sacrificio e assistita
da doti innate, riesce a farci mettere in contatto con i grandi del passato
che sono riusciti a far diventare anche nostri i loro pensieri ora sotto forma
di musica, ora di colore, ora di scrittura, procurando in noi le medesime sensazioni
che provarono i loro contemporanei, ci troviamo al cospetto di un artista che
ha saputo ricreare una comunione impossibile temporalmente, ma culturalmente
realizzabile. E la borsa di studio che il Lions Club Roma Aurelium ha voluto
assegnare al Maestro Lanzillotta sabato 13 marzo sta ad esprimere l’ammirazione
per il suo brillante passato, ma soprattutto l’auspicio per il luminoso
futuro artistico che lo attende, da condividere con emozione da quanti avranno
il privilegio di seguirlo nelle sue apparizioni pubbliche.
Il nostro Governatore Distrettuale Giampiero Peddis, che desideriamo ringraziare
per aver voluto onorare con la sua presenza l’avvenimento, nel suo intervento
conclusivo ha avuto espressioni di elogio nei confronti del nostro Club, di
ammirazione verso il Maestro Lanzillotta e di ringraziamento verso il nostro
socio Ennio Morricone, premio Oscar per le sue innumerevoli famose colonne sonore
per film note in tutto il mondo, cui si deve la segnalazione dell’artista
meritevole del riconoscimento.
La notizia della manifestazione ha avuto ampio e significativo spazio nella
edizione cittadina de “Il Messaggero” di martedì 16 marzo.
(Enzo Maggi)
Carissimo signor Maggi,
la ringrazio per tutto quello che ha scritto. Oltre che ad avermi commosso, ho letto informazioni interessantissime sul Requiem di Verdi e non solo; sembra un articolo scritto da un critico musicale di grande esperienza. Sono rimasto quasi imbarazzato per le splendide parole che ha usato per descrivere la mia attività, la ringrazio ancor di più perchè per giovani musicisti come me, è importantissimo capire cosa arriva al pubblico, attraverso di voi riusciamo a modificare e modificarci, migliorando ad ogni concerto. Grazie grazie, mille volte grazie per tutto quello che mi avete regalato.
Con grande affetto,
Francesco Lanzillotta
7 aprile 2010
www.francescolanzillotta.com