E’ molto difficile ammettere che nella stessa persona
possano albergare sentimenti contrapposti come quello del guerriero feroce e
sanguinario e quello del principe letterato e mecenate. Eppure talvolta accade.
Il normanno Roberto I il Guiscardo, duca di Puglia, si adoperò non poco
a favore della famosa Schola salernitana, scuola medica già nota nel
secolo IX anche grazie all’opera di personaggi di grande cultura come
l’ebreo Donnolo, e che agli inizi dell’undicesimo secolo aveva ricevuto
un forte impulso innovatore specialmente nel campo della chirurgia dopo la traduzione
in latino dall’arabo dell’”Arte medica” di Galeno da
parte del cartaginese Costantino Africano. Ci sarebbe da riflettere non poco
su questo esempio, lontanissimo nel tempo, di collaborazione e convergenza,
seppure non concordate, tra uomini diversi per origini e cultura: ebraica, africana,
latina e araba!
Eppure lo stesso personaggio, Roberto I il Guiscardo, duca di Puglia, nel 1084
guidava la soldataglia che si abbatté su Roma come un uragano, da vero
e proprio” dies irae”: Normanni e Saraceni si ubriacarono in un’orgia
di sangue senza precedenti e, dopo aver scannato, stuprato, mozzato mani e dita
per meglio procurarsi anelli e monili, portarono con sé migliaia di Romani
che furono poi venduti come schiavi.
Un perfetta concreta anticipazione della stevensoniana storia del Dottor Jekyll
e del Signor Hyde!
E la stessa furia devastatrice si abbatté anche sulla la primitiva chiesa
di S.Clemente, edificata nel IV secolo sopra una casa romana del I secolo dell’epoca
imperiale, forse la stessa dove S.Clemente, terzo successore di Pietro alla
guida della nascente Chiesa romana, riuniva i fedeli. Ma neppure questa costruzione
costituisce il livello primario dell’intero edificio: infatti la casa
romana è sovrapposta ad una precedente costruzione dell’epoca repubblicana,
forse adibita inizialmente a magazzini e poi utilizzata quale luogo di culto
mitraico. Quindi la riedificazione della chiesa, avvenuta sempre nel XII secolo
e voluta dal papa Pasquale II, rappresenta il quarto livello di una serie di
costruzioni sovrapposte.
L’attuale chiesa, per la cui realizzazione furono impiegati in parte materiali
e frammenti decorativi della precedente distrutta nel 1084, fu soggetta nel
tempo a restauri ed abbellimenti ad opera di vari papi, finché Clemente
XI, con un incarico affidato a Domenico Fontana, la consegnò ai posteri,
nel 1715, così come oggi la vediamo.
E gli stemmi di Clemente XI, affrescati da Giuseppe Chiari, accompagnano il
grande quadro centrale che ricorda il “Trionfo di S.Clemente” e
insieme si offrono alla visione del visitatore. Il quale non può non
rimanere attratto dal superbo spettacolo della “Schola cantorum”,
recuperata dalla basilica inferiore e posta al centro della navata principale.
Sopra le bellissime opere rappresentate dal candelabro tortile, dal leggio,
dal presbiterio elevato e dall’altare maggiore, splendono con mille luci
e colori i mosaici del XII secolo che ricoprono l’abside e l’arcone.
Nel contenuto spazio riservato ad un resoconto informativo e non divulgativo,
quale è il presente lavoro, non è consentito dilungarsi eccessivamente
nella descrizioni dei luoghi visitati; anche se lo spettacolo inusitato che
domenica 17 gennaio si offriva al nutrito gruppo di amici dell’Aurelium
meriterebbe una pubblicazione a parte, non fosse altro che per il turbamento
che, una volta discesi nella basilica inferiore, scoperta nel 1857, e poi ancora
più in basso nelle stanze dell’epoca imperiale e nel tempio di
Mitra, l’eroe persiano i cui seguaci furono accaniti persecutori di cristiani,
si prova nel percorrere angusti e tortuosi ambienti, dove duemila anni orsono
si riunivano persone mosse da motivazioni varie secondo le epoche, ma sempre
aggreganti, lasciando del loro passaggio tracce che oggi si tenta di interpretare
per ricostruire, oltre agli ambienti, anche sentimenti e modi di vivere.
E i brevi accenni riferiti a quanto di meraviglioso e importante, sia dal punto
di vista storico che artistico, è possibile rintracciare in un edificio
che racchiude in sé oltre duemila anni di storia, non possono avere la
pretesa di assurgere a guida turistica e culturale. Possono al più, invogliare
i lettori, assenti domenica 17 gennaio, a programmare una visita ad uno dei
luoghi più interessanti e suggestivi che la nostra imprevedibile Roma
conserva nel suo seno.
Alcuni degli amici, soddisfatti spiritualmente ma non materialmente, si sono
poi diretti alla Casa dell’Aviatore, dove hanno potuto colmare le lacune
presenti con ampio e gradito materiale a propria disposizione. (Enzo Maggi)