CONVIVIALE INTERCLUB CON IL L.C. ROMA CAPITOLIUM
18 novembre 2015

Conferenza del Prof. Massimo Bray - Direttore Generale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani - sul tema “Il contributo alla migliore diffusione delle conoscenze e dei saperi nella Società italiana nei 90 anni di attività dell’Enciclopedia Treccani”.

Ogni volta che sugli schermi televisivi appare un personaggio della carta stampata, alle sue spalle fanno bella mostra di sé i volumi di una delle iniziative editoriali che ha accompagnato la presenza del quotidiano nelle edicole e della quale il giornale va giustamente fiero: ad esempio, dietro la figura di Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, possiamo scorgere i quaranta volumi del “Grandangolo della Storia”, alle spalle di Ezio Mauro, direttore di “Repubblica”, figurano gli oltre cento libri della collana “La letteratura del Novecento”, e via di seguito. Ed è ovvio che ciò accada: il rapporto che lega i due personaggi appena citati, come gli altri loro colleghi, con un prodotto della cultura umana è inscindibile dalla attività che svolgono e non possono farne a meno, visto che il loro compito non è soltanto quello di fornire notizie ai propri lettori, ma vi è anche quello di contribuire alla loro elevazione culturale.

Invece l’apparizione in televisione di un politico è corredata, se trattasi di persona che occupa incarichi governativi a qualsiasi livello, in primo piano da una importante scrivania sempre sgombra di carte (ma di cosa si stava occupando mentre veniva ripreso?) e alle spalle un paio di bandiere che stanno a ricordarci che siamo, oltre che italiani, anche europei. Ma se trattasi di un importante uomo politico, espressione di una delle tante sigle di partito che popolano il nostro paese, ecco apparire alle sue spalle la formidabile batteria della “Grande Enciclopedia Treccani”, che con i suoi sessanta volumi occupa un’intera parete della location dove si svolge l’intervista e che costringe la macchina da ripresa ad una lunghissima panoramica. E allora sorge spontanea una maliziosa domanda: ma dove troviamo il nesso tra il personaggio che parla e la montagna di cultura che tace? Certamente dobbiamo riconoscere che nel mondo politico non mancano uomini che con la loro preparazione culturale forniscono esempi di grande autorevolezza da conoscere e seguire; ma purtroppo non sono tanti quanti ce ne vorrebbero per poter concretamente incidere in tema di esigenze culturali da soddisfare e il rimedio non si trova nella esposizione statica a mo’ di arredamento di un’opera che costituisce una guida insostituibile, quasi a volerne dimostrare piena padronanza.

E soddisfare le esigenze culturali non significa vacuo esercizio elitario fine a se stesso, bensì “…svolgere un ruolo fondamentale anche nella costruzione del senso civico, che rappresenta il fondamento di ogni società”: sono queste le parole pronunciate dal Prof. Massimo Bray, Direttore generale dell’Istituto dell’Istituto dell’Enciclopedia Treccani, nel corso della sua conferenza tenuta mercoledì 18 novembre u.s. alla presenza dei soci dei clubs Roma Aurelium e Roma Capitolium, riuniti in interclub. Parole che stanno a rappresentare il chiaro intendimento di attribuire il ruolo di cui sopra a quella stupenda opera che prese le mosse novanta anni orsono, grazie al mecenatismo di un imprenditore tessile, Giovanni Treccani, e all’intuizione di due suoi amici, Ferdinando Martini e Bonaldo Stringher, e cioè “L’Enciclopedia Italiana”, una grande enciclopedia universale allora non ancora presente nel nostro paese. L’atto costitutivo dell’iniziativa venne sottoscritto nel febbraio del 1925 e ne facevano parte uomini di chiara fama del mondo della cultura, dell’economia, delle arti, della politica, della giustizia. E dopo appena dodici anni, nel 1937, i volumi pubblicati, di un migliaio di pagine ciascuno, erano già trentacinque. E i contributi in essa successivamente confluiti in un periodo di tempo attraversato da drammatiche crisi belliche e da dure competizioni ideologiche e politiche, hanno fedelmente rispettato “…l’esigenza di registrare per scelte critiche, e non più solo attraverso compilazioni d’aggiornamento, i mutamenti verificatisi negli ultimi decenni” (ibidem).

Ma il nucleo centrale della conferenza del Prof. Bray era occupato da un avvenimento editoriale di grande interesse sia storico che di costume: la rivisitazione da parte dell’Istituto della Enciclopedia Italiana del ricettario di Pellegrino Artusi, uscito nell’ormai lontano 1891 e continuamente aggiornato dal suo autore fino al 1911, anno della sua scomparsa alla veneranda età di novantuno anni. Trattasi del manuale di cucina più conosciuto al mondo, costituito inizialmente da ben 476 ricette, rivolto alla valorizzazione di una cucina fatta di ingredienti semplici, utilizzando utensili di uso quotidiano, “…una cucina domestica, sobria e misurata, ricca di esperienze e sapori; una cucina legata alla civiltà della tavola, luogo d’incontro di esperienze e generazioni diverse.” (ancora ibidem).

E’ ben vero che forse mai come in questi ultimi tempi la cucina sembra aver assunto una importanza tale da giustificare il profluvio di notizie, proposte, invenzioni e introduzione di nuovi ingredienti che deborda sia dalla carta stampata che dalle reti televisive, con ricettari aperti a tutte le latitudini e mescolati con disinvoltura da cuochi, o aspiranti tali, in gara tra loro fino all’ultimo…mestolo! Ma quanta parte di questo fenomeno sta a rappresentare una educazione al mangiare? Purtroppo è altrettanto vero che questo invadente e spettacolarizzato tsunami gastronomico ha contribuito a spingere in secondo piano un aspetto importantissimo legato alla cultura gastronomica di ogni paese e sottinteso nell’opera dell’Artusi: il piacere di stare a tavola, dello stare insieme. Nello scrivere questo resoconto, mi sono tornate alla mente le parole che pochi giorni addietro Papa Francesco aveva pronunciato nel corso della catechesi dedicata alla convivialità, allo stare insieme: “Una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione o lo smartphone, è una famiglia ‘poco famiglia’”.

Recuperando l‘argomento Enciclopedia Treccani, il Prof. Bray ha posto in giusta ed evidente luce il contributo che alla stessa fu dato da una eminente figura di studioso siciliano, il filosofo e pedagogista Giovanni Gentile il quale, non solo faceva parte del gruppo dei fondatori della Treccani, ma ne fu il primo direttore scientifico dal 1925 al 1938. A questa grande figura di pensatore si deve una serie infinita di saggi nel campo della filosofia, che lo vide duellare anche con Benedetto Croce; nella pedagogia quando, in qualità di ministro della Pubblica Istruzione, nel 1923 varò la Riforma scolastica che porta il suo nome e che venne completamente cancellata soltanto nel 1962. Ma Giovanni Gentile spaziò anche nella politica: lo storico quasi omonimo Emilio Gentile, nella sua opera “La Grande Italia”, ci fa sapere che già nel 1919 “Nella definizione del rapporto fra lo stato fascista e la nazione, determinante e decisivo fu l’apporto dell’idea di nazione elaborata negli anni della Grande Guerra da Giovanni Gentile.” E più avanti: “…il primato dello spirito si realizzava anche attraverso il realismo della forza, la nazione acquistava coscienza e volontà di farsi valere anche attraverso la violenza dello squadrismo.(…) Il fascismo incarnava, soprattutto attraverso la carismatica personalità del suo duce, la coscienza della nuova Italia nata dalla guerra.” (op. cit. pagg.177 e segg.). Questo suo impegno politico, protrattosi per tutto il tempo in cui il regime fascista rimase al potere, riconfermato da moltissimi scritti favorevoli e sottolineato ancora una volta nel 1932 con la sua opera “La dottrina del fascismo” e riconfermato con la sua adesione alla Repubblica di Salò, purtroppo gli procurò la morte per mano di un gruppo di partigiani, a Firenze il 15 aprile 1944.

Avviandomi a concludere questo mio scritto, desidero ringraziare personalmente il Prof. Bray per aver voluto chiudere il suo intervento citando un passo delle “Memorie di Adriano” scritto da una meravigliosa Marguerite Yourcenar, un libro, che assieme a tutti gli altri della collana “La letteratura del Novecento”, conservo gelosamente e che non mi stanco mai di rileggere: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora grandi granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.”

E mi si perdoni la mia presunzione se, presentando prima della conferenza un mio piccolo opuscolo, spero di aver contribuito con un invisibile e minuscolo seme di sesamo alla fornitura di un granaio, il più modesto che si possa concepire e realizzare. (Enzo Maggi)

 

 

 

 

 

 

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