CONVIVIALE a tema:

“La storia della Regione Marche nel periodo napoleonico”
relatore il Prof. Dott. Rodolfo Ricottini
19 febbraio 2016

UN INCONTRO CON LE MARCHE

Ma chi l’ha detto che il termine “campanilismo” debba necessariamente avere un significato negativo? Un eccesso di amore verso la terra che ti ha visto nascere, accolto e protetto, che ti ha insegnato a camminare sul percorso della vita, fornendoti esempi di cultura e saggezza, conservati come patrimonio di inestimabile valore, non può essere interpretato come sciovinismo: in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, che ha visto il tracollo di ideologie e il faticoso affermarsi di valori, riscoprire le proprie radici in consolidate tradizioni e memorie secolari e parlarne è un atto d’amore che dovrebbe essere imitato e conclamato più spesso. Ed è stata questa forma di campanilismo che ho percepito la sera del 19 febbraio u.s., quando il nostro amico socio Rodolfo Ricottini, sempre disponibile a prestare affettuose attenzioni alle nostre pene sanitarie, ha intrattenuto un uditorio curioso e attento su di un argomento che, anche se riferito ad un breve e intenso periodo storico, e cioè quello napoleonico, gli ha offerto lo spunto per alcuni riferimenti culturali e di costume risalenti alla seconda metà del 18mo secolo, evocati e raccontati con passione e orgoglio, attinenti alla sua regione di origine e cioè le Marche.

E ne aveva ben donde! Nel tentativo di evitare volutamente una informativa che assumesse l’aspetto di un riassunto di avvenimenti e personaggi che l’oratore aveva ricordato, il vostro cronista, per colmare i propri spaventosi vuoti sull’argomento trattato, è andato a consultare una ponderosa e pesante pubblicazione dell’ottobre 1965, patrocinata dalla BNL. E la lettura di una riproduzione nei risguadri del volume di una carta rappresentante la Marca anconitana e le terre confinanti a ridosso dell’Appennino, redatta nel 1606 in Amsterdam, ha posto in evidenza una circostanza di non poco valore: la patria dell’amico Rodolfo, e cioè San Severino Marche, è proprio nel cuore delle Marche, a metà strada tra l’Adriatico e l’Umbria, una terra che ha dato i natali a principi e condottieri del calibro di Braccio da Montone, i Malatesta, il grande Federico - per citarne alcuni -; ad artisti di gran nome, quali il Bramante, Raffaello, Gentile da Fabriano e un certo Maratta, alla cui scuola è attribuito il quadro raffigurante la Madonna del Rosario, ospitato nella chiesa di San Lorenzo a Gerano e restaurato nel 1988 a cura del nostro club. Ma durante l’intervento dell’amico Rodolfo era scontato che il pensiero di tutti non poteva non andare ai due più noti figli delle Marche che tutto il mondo ci invidia: Gioacchino Rossini e Giacomo Leopardi. Coetanei come nascita, ma distanti nella loro morte, hanno contrassegnato momenti indimenticabili della vita di ciascuno di noi, sia con la briosa spumeggiante musica, sia con la profonda lettura della nostra esistenza. E di ciò siamo loro riconoscenti. E mi sia concesso di ricordare, a titolo strettamente personale, un’altra figura di grande rilievo, nella quale mi sono imbattuto agli inizi degli studi universitari: Bartolo da Sassoferrato, forse il più illustre giurista civilista medievale.

Ma delle Marche è interessante porre attenzione ad un fenomeno curioso: la presenza di due dialetti ben delineati e differenti che risentono della contiguità a nord con la Romagna e verso il meridione con l’Umbria. E anche nella provincia che ha visto i natali del nostro conferenziere si parla un dialetto non molto dissimile da quello delle vicine provincie umbre e che, a mio modesto avviso, risulta gradevolissimo e molto divertente. Nel passato del vostro cronista vi sono incontri addirittura risalenti agli anni cinquanta con persone nate nelle Marche, e più precisamente nel pesarese e quindi non ignoro l’apertura delle vocali e la troncatura finale delle parole; invece nel dialetto parlato nelle provincie centrali e meridionali vi sono indubbiamente tracce proprie dei dialetti centro-meridionali e, quindi, risulta più vicino a noi romani e perciò maggiormente recepibile.

Però ritengo che sia opportuno tornare al nostro amico Ricottini. Il tema trattato, “La storia della Regione Marche nel periodo napoleonico”, ha trovato ampio spazio in una cavalcata nel tempo che parte dal 1750 con accenni al movimento del Neoclassicismo e che si conclude nel 1817 con la morte di Gioacchino Murat e la restaurazione dello stato pontificio. Il racconto degli accadimenti, che tutti abbiamo appreso nel corso dei lontanissimi anni dei nostri studi, e che quasi tutti abbiamo dimenticato, è servito anche per stimolare curiosità su alcuni personaggi e fatti dell’epoca che in qualche modo trovano riscontro nei nostri giorni. Il primo dei quali riguarda un episodio accaduto nel maggio 1815, durante l’ultimo scontro armato tra Gioacchino Murat e gli Austriaci: un ufficiale italiano, colonnello dell’esercito austriaco e del quale non si è mai saputo il nome, in uno slancio di patriottismo sabotò le polveri da sparo per evitare ulteriori vittime nell’esercito napoletano. Scoperto e fucilato sul posto, i suoi resti oggi giacciono in una chiesetta abbandonata in una boscaglia vicino a Tolentino. Possiamo concludere che ci troviamo di fronte al primo milite ignoto caduto per l’Italia.

Un personaggio che ebbe ampio spazio nelle vicende politiche a cavallo dei secoli 18mo e 19mo, e ricordato dal conferenziere, fu Don Marzio Mastrilli, prima marchese e poi duca di Gallo. Ministro degli Affari Esteri di Ferdinando IV di Borbone nel 1799, lo ritroviamo nel 1808 con il medesimo incarico, ma come duca, con Gioacchino Murat e ancora, sempre come ministro degli Affari Esteri dello sconfitto re napoletano, nel 1815 a trattare la pace di Casalanza con gli Austriaci. Domanda: ma questo costante presenzialismo non contribuisce a farci richiamare alla memoria altri personaggi, lontani o vicini, che hanno potuto vantare un simile curriculum? Il primo e più noto potrebbe essere Tommaso Moro, definito dall’amico Erasmo da Rotterdam “Un uomo per tutte le stagioni”: però si rischia di essere tacciati di blasfemia (Tommaso Moro è stato proclamato santo da Pio XI nel 1935) e anche di ignoranza perché Erasmo, con quella espressione, voleva invece sottolineare positivamente le doti dello statista inglese. Però la scena politica italiana ha visto più di un personaggio al quale la definizione di Erasmo si attaglia letteralmente e in toto: uno in particolare, del quale non facciamo il nome ma che tutti coloro che sono nati lo scorso secolo conoscono e ricordano, per aver ricoperto, nel corso degli anni che vanno dal 1948 al 1992, la carica di Presidente del Governo per sette volte e quella di ministro in vari dicasteri per ben diciannove volte!

Un’altra notizia offertaci dall’amico Ricottini riguardava la fine che avrebbe potuto fare il Castello Sforzesco di Milano: un progetto del 1798 prevedeva l’abbattimento del castello per far posto ad un Foro Bonaparte. Per fortuna non se ne fece nulla! Però: questa manìa di grandezza da riversare su “fori ad personam” trova sempre qualche estimatore che si è montato la testa. La citazione della notizia è stata sollecitata, durante la stesura di questo resoconto, dalla scomparsa di Umberto Eco e dai funerali in forma civile che si sono svolti proprio all’interno del Castello Sforzesco. Sia pure assai lontane nel tempo, le due circostanze avrebbero procurato identico dolore.

Siamo giunti alla conclusione. Qualcuno potrà chiedere come avremmo potuto commentare il celebre proverbio “Meglio un morto in casa che un marchigiano fuori della porta”. Lo faremo la prossima volta, quando ci occuperemo dell’Agenzia delle Entrate. (Enzo Maggi)


P.S.: Stavo scorrendo il resoconto per un’ultima limatura o integrazione, quando da Fermo mio figlio Paolo mi invia una foto che ritrae una palina con un cartello turistico che recita così: “Palazzo del Municipio. Disegno di Pietro Maggi (1793)”. La località è Penna San Giovanni, un paesino in provincia di Macerata (come la patria di Rodolfo Ricottini!), con appena 176 abitanti ma con ben cinque ristoranti! Un tuffo al cuore e una ricerca su google: e così ho potuto apprendere che un ipotetico mio antico progenitore, del quale indegnamente porto il cognome, è stato un architetto molto attivo nelle Marche e altrove, ma sembra che a Roma non sia mai sbarcato. Cosicché tutto finisce lì: e non posso sperare neppure in un ramo cadetto! (Enzo Maggi)

 

La presentazione del relatore

 

L'intervento del relatore

 

Il riconoscimento del Presidente

 

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