LA CASTELLUCCIA

(Il Lions Club Roma Aurelium a pranzo a casa del Presidente ing. Raffaele Mele)

William Blackwhite, facoltoso mercante inglese di stoffe pregiate e molto conosciuto per la sua grande fede religiosa, era rimasto profondamente colpito dalla lettura dello scarno ma esatto documento con il quale Segerico, arcivescovo di Canterbury, nel 990, di ritorno da Roma, aveva elencato le 79 tappe che avevano punteggiato il lungo percorso dalla sua città alla Città Eterna.
Erano trascorsi più di cinque secoli da quell’illustre pellegrinaggio e già molti altri fedeli si erano avventurati e, spinti da tenace fede, ancora si avventuravano sul percorso lungo migliaia di chilometri, denso di pericoli di ogni genere, sia da quelli rappresentati dalla natura sconosciuta e ostile che da briganti e predoni, che erano i veri e propri padroni di strade e sentieri insicuri. Ma la fede che lo animava e, ammettiamolo, la speranza di aprire nuovi proficui canali al suo mestiere, spinsero William Blackwhite ad intraprendere un’avventura dalla quale trarre ristoro sia per l’anima che per la borsa.
Studiò bene il tragitto, chiese informazioni e consigli ad altre persone che avevano in passato praticato il pellegrinaggio lungo una strada che, per il fatto di attraversare da nord a sud tutta la Francia, era stata denominata “La Via Francigena” e ai primi giorni del 1560 si mise in viaggio e qualche tempo dopo pose piede sul continente, e più precisamente a Calais, città che soltanto da due anni era tornata francese, dopo due secoli di dominio inglese.
Era la prima tappa sul suolo europeo, la prima di un lungo tragitto che l’avrebbe portato, alle porte di Roma, a soggiornare, prima dell’ultimo balzo, in un castello-casale del XII secolo sulla Via Cassia e che era noto ai pellegrini per aver dato il nome a tutta la località,”La Castelluccia”, ma anche per la sua ospitalità, povera ma confortevole.
Ma al buon Blackwhite accadde uno strano e, per certi versi, incredibile fenomeno: da quel momento in poi, cioè dal suo sbarco a Calais, il tempo iniziò a scorrere per lui in maniera talmente veloce che, in poche settimane, si trovò a vivere, pur restando sempre se stesso, in anni e secoli sempre più in avanti e divenne spettatore e, a sua insaputa, anche protagonista di avvenimenti che stavano delineando un nuovo profilo all’Europa, e non soltanto ad essa: la Riforma del monaco agostiniano Lutero, la Guerra dei Trent’anni, l’inizio della decadenza della Repubblica veneziana, il consolidarsi dell’egemonia turca sul Mediterraneo, il lento ma continuo espandersi, tra alterne vicende, del Papato e del Piemonte.
Mentre attraversava la Francia (ed era ormai il XVIII secolo), era stato sfiorato dal fatidico 14 luglio 1789 e, di gran carriera, si era precipitato verso Besancon, tornata francese poco più di un secolo prima. E mentre ancora si stava chiedendo come diavolo ci fossero capitati nel 1649 , lì a Besancon, gli spagnoli, si trovò ad attraversare le Alpi al Passo del Gran San Bernardo. Fece il suo ingresso ad Aosta proprio nell’anno in cui la città entrò a far parte del Regno di Sardegna (1794), precedendo di appena due anni la campagna d’Italia di Napoleone.
A questo punto qualche lettore si potrebbe porre la domanda: ma questo tizio, che se ne va in giro per l’Europa vestito secondo la moda dei tempi di Shakespeare, come fa a passare inosservato? Si fa presto a rispondere: con tutti i guai che a quel tempo imperversavano, vuoi che la gente si potesse interessare di un poveraccio (almeno dall’aspetto) che se ne andava in giro badando soltanto ai casi suoi?
Comunque proseguiva con il suo viaggio in Italia. E continuava, facendo molta attenzione a non lasciarsi coinvolgere da tutto quello che stava accadendo in quel benedetto “Bel Paese”: la Repubblica Cisalpina, la caduta di Venezia e quella del regime napoleonico, la restaurazione dei vari governanti, compreso il Papa, deposti dal Bonaparte, i moti rivoluzionari del 1830, la guerra contro l’Austria del 1848, Mazzini, Garibaldi, la spedizione dei Mille, Teano, la Breccia di Porta Pia, l’Unità d’Italia. E via di questo passo, fino alla Grande Guerra del 1915-18 e all’avvento del Fascismo, alla seconda Guerra mondiale, alla caduta della Monarchia e, infine, alla instaurazione della Repubblica. Imperterrito, il Blackwhite continuava nel suo viaggio verso Roma, facendo tappa a Pavia, a Parma, a Pontremoli, a Lucca, a S.Gimignano, a Siena, a Bolsena, a Sutri.
E proprio mentre si stava riposando in questa ultima amena località (si era ormai, in quel momento, al primo decennio del 2000 ), venne a sapere che nell’aprile del 1932 il Capo del Governo Benito Mussolini aveva compiuto una visita alla tenuta “Castelluccia alla Storta”, per assegnare ufficialmente le abitazioni ad alcune famiglie coloniche che si andavano ad insediare nella tenuta. Quando si dice da dove parte il buon esempio!
Spinto dalla curiosità e ansioso di poter finalmente terminare il lungo e travagliato viaggio e di riposarsi alla dolce frescura dell’antico castello per poi incamminarsi lungo l’antica Via Triumphalis che l’avrebbe condotto fino alla porta santa della basilica di San Pietro, l’ormai pluricentenario pellegrino inglese riprese il cammino e, poco dopo, si trovò ad entrare in un comprensorio pieno di moderne costruzioni dalla diversa fattura: strisce di palazzine lunghe centinaia di metri, tutte uguali, anche nel colore ocra, con il loro ingresso riservato e separato dagli altri da un sottile muretto; alcuni piccoli edifici di appena due-tre piani; e poi alcune ville isolate, delle quali di scorgeva a malapena il tetto che si elevava al di sopra di severe e robuste mura, seminascosto da vegetazione alta e rigogliosa. Mentre un po’ sconcertato Blackwhite si stava chiedendo dove fosse andato a finire tutto quel verde di cui tanto aveva sentito raccontare, vide un tizio che con aria alquanto rassegnata portava al guinzaglio un cane bello grasso che, alla ricerca del posticino preferito, annusando costeggiava un muro oltre il quale si udivano provenire voci e suoni che stavano a testimoniare la presenza di parecchie persone.
L’inglese, con deferenza e alquanto vergognoso per il suo ormai da molto tempo sorpassato abbigliamento, si rivolse all’annoiato uomo per chiedergli notizie sia del verde non trovato che di quanto stesse accadendo nella villa della quale poteva scorgere, oltre il muro, il dolce declinare di un tetto signorile e le cime altissime di piante secolari. Con fare scocciato, l’accompagnatore del cane rispose che del verde lui non sapeva un bel niente e, per quanto riguardava cosa stesse accadendo oltre il muro, disse di aver saputo in giro che c’era un raduno di leoni. “E più non so’”.
Blackwhite restò sconcertato dalla risposta avuta: non sapeva molto di leoni e di altre bestie feroci; ma gli rimaneva un po’ difficile accettare la notizia che dei leoni potessero parlare e ridere. E poi ascoltare musica! Forse siamo vicini ad un circo equestre? Cosicché, visto che il cancello d’entrata della villa era rimasto leggermente aperto, con fare furtivo e cercando riparo nei rigogliosi cespugli disseminati un po’ dappertutto, s’intrufolò all’interno e poté scorgere, raccolti su di un bel prato all’inglese (sic!), distinti signori e belle signore che amabilmente conversavano tra loro, si scambiavano complimenti affettuosi, accompagnati da sincere risate, in un vorticoso incrociarsi di incontri con altre persone che affollavano gazebo, panchine e sdraie.
Al riparo di enormi ombrelloni, una lunga tavola mostrava una sequela senza fine di pietanze prelibatissime, alla cui vista il pellegrino, che da tempo immemorabile si cibava ormai di solo pane e qualche cipolla, sentì salirgli alle labbra non un’acquolina, ma un torrente di saliva che, sgorgando, andò a colargli lungo la incolta barba e il sudicio corpetto. A pochissima distanza, un giovin signore pigiava le dita su una piccola colorata spinetta, dalla quale scaturivano dolci melodie che non riuscivano, però, a sovrastare il lieto cicaleccio che regnava sovrano. Ma il giovin signore continuava nel suo impegno con fare languido e trasognato. Sicuramente il languore gli veniva procurato dalla vicinanza di tutto quel ben di dio esposto e a lui non accessibile, almeno per ora.
L’intrusione di Blackwhite durò molto a lungo, ma di leoni nessuna traccia. Le diverse decine di partecipanti alla riunione presero d’assalto la tavola delle cibarie: ma il tutto avvenne con stile e signorilità, anche se con entusiasmo e ad una velocità incredibile, vista l’età media dei convitati. Una signora e un signore, probabilmente gli anfitrioni padroni di casa, si affannavano a destra e a manca affinché ognuno si sentisse a proprio agio e non mancassero posate, bicchieri, acqua e vino a volontà, dando acconce istruzioni al personale di servizio per aggiungere tavoli e sedie, laddove se ne avvisasse la carenza. Poi, satolli e soddisfatti, giacquero mollemente abbandonati su panchine e sdraie; e proprio nel momento in cui sarebbe stata gradita qualche nenia accattivante, la musica taceva, perché il giovin signore si era avvicinato alla residuata tavola e si stava rifocillando, ponendo fine al suo languore.
Improvvisamente la scena tornò a rianimarsi: si stavano ricordando, con l’aiuto di una piccola scatola che creava immagini su di un lenzuolo, alcuni momenti di una recente riunione, nel corso della quale uno dei presenti, un tal Mario, aveva ottenuto un prestigioso incarico (1). Da tutti i presenti si levò una serie di applausi e complimenti unanimi e convinti verso l’illustre personaggio il quale, commosso, ringraziò e promise cose importanti. Fu poi la volta di un altro signore, Giancarlo, del quale furono ricordate notevoli imprese, che gli erano valse il conferimento di una medaglia d’oro (2). A questo punto, colui che sembrava essere il padrone di casa aggiunse, anche a nome della gentile e ospitalissima consorte, i suoi personali auguri, accompagnati dall’esortazione a tutti a trarre esempio dai fatti ricordati per una sempre maggiore e fattiva presenza agli impegni dell’associazione che, a quanto veniva illustrando, riguardavano sia gli individui che la società nella quale essi vivevano, anche con aiuti concreti. Unanime fu il consenso e l’approvazione da parte di tutti, anche dal Blackwhite il quale, viste le condizioni in cui si trovava, provò l’impulso di balzare fuori dai cespugli per offrirsi, pronto ad essere aiutato, in tutti i sensi. Ma il timore di arrecare, con il suo aspetto e abbigliamento, stupore e sconcerto in tutti gli astanti e, forse, vedersi aizzato addosso un paio di servitori in giacca bianca, lo frenò. Di soppiatto, così come era entrato, scivolò fuori dalla villa e riprese il cammino verso la Via Triumphalis, facendo attenzione a non farsi arrotare da qualcuna delle centinaia di carrozze senza cavalli e puzzolenti che lo sfioravano da tutti i lati.
Mentre già pensava al viaggio di ritorno, rifletteva sulla circostanza che, se questi erano i leoni, i veri leoni e non quelli dei quali si favoleggiava come mangiatori di cristiani e re della foresta, forse non sarebbe stata cosa sbagliata, una volta rientrato nella natìa Canterbury, tentare di mettere in piedi un gruppo di persone che, in qualche modo, ricordasse quello di cui era stato testimone in quella località denominata “La Castelluccia”.
Ma questa è tutta un’altra storia. (Enzo Maggi)

Roma, 26 maggio 2010

(1) Trattasi del socio Mario Paolini, eletto alla carica di II Vice Governatore Distrettuale all’ultimo Congresso Distrettuale di Viterbo.
(2) Trattasi del socio Giancarlo Iachetti, al quale è stata conferita la medaglia d’oro quale vittima del terrorismo per
i fatti accaduti a Roma il 17 marzo 1977.

Questo articolo è stato pubblicato su LIONISMO" Rivista del Distretto 108L - a.s. 2010/2011 n° 3 - gen/feb 2011.

 

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