Caro Dino,
ti è mai capitato di interrogarti sul perché a certi individui
resta tanto difficile prendere atto che ci sono molte persone che soffrono a
causa della miseria che le circonda e che le opprime? E assieme alla miseria
possiamo comprendere anche altri disagi di natura morale e fisica, come le malattie.
Te lo sei mai chiesto?
Ebbene: a mio parere la colpa è del barbiere. Non intendo riferirmi al
barbiere quale persona che esercita onorevolmente la sua attività artigianale;
bensì alla attività in sé, al suo dipanarsi ed esplicarsi
sia all’interno della bottega che lo vede protagonista, sia a domicilio.
Mi spiego.
Nel lontano 23 giugno 2000, chiudendo il mio intervento di addio come Presidente
dell’Aurelium per lasciare la Campana nelle mani dell’amico Giorgio
Dori, citai alcune righe del libro di Italo Svevo, “La coscienza di Zeno”,
laddove il protagonista Zeno Cosini si sorprendeva pensare che “Ogni mattina,
quando mi destavo, il mondo appariva più grigio ed io non me ne accorgevo
perché tutto restava intonato; non v’era in quel giorno neppure
una pennellata del colore del giorno prima, altrimenti l’avrei scorta
ed il rimpianto m’avrebbe fatto disperare”. E aggiungevo: per questo
motivo quando ogni mattina ci radiamo la barba non scoppiamo in lacrime davanti
allo specchio.
E torniamo ad occuparci del barbiere; o meglio, della sua attività, alla
quale fanno ricorso, prevalentemente, persone che hanno raggiunto elevati livelli
di prestigio e di responsabilità nei più svariati campi, in special
modo riferiti ad attività decisionali nei confronti della società.
Infatti: come si può immaginare un ministro, un amministratore delegato
di una multinazionale, un politico di fama nazionale “et similia”,
intento il mattino ad insaponarsi il viso, a cercare il rasoio bilama o multilama
(è da escludere quello a mano libera, pena affettate di vario spessore)
ancora valido e magari non trovarlo e ricordarsi poi di procurarselo? Utilizzare
il rasoio elettrico non sempre è consigliabile. Si rischia di lasciarsi
sfuggire qualche peluzzo ribelle, specialmente tra il lobo e la mascella. E
questo non è elegante. Sono tutte azioni minimali, scoccianti, che fanno
perdere tempo e che ti distraggono da altri pensieri ben più importanti.
E allora ricorrono al barbiere di fiducia, o nell’odoroso “salone”,
o nell’intimità del proprio boudoir. Il figaro li avvolge con delicatezza
in un profumato lino, li fa scivolare all’indietro per meglio posizionare
il viso, lo studia con dita esperte per meglio individuare il verso pilifero
ed eventuali vertigini, lo inonda di morbida schiuma che assomiglia a panna
montata e lo fa con delicatezza, usando un pennello più morbido della
schiuma. Di tanto in tanto insiste con un polpastrello per meglio spandere il
sapone e poi passa alla rasatura, che avviene con dolcezza e sapiente rapidità,
non tralasciando una pizzicata alla punta del naso, per meglio tendere la pelle
sottostante, senza danneggiare gli eventuali baffi. E quando infine tutti i
pori del viso sono sollecitati ad espellere tossine e scorie sotto l’influsso
del tovagliolo bollente che, alla maniera giapponese, lo copre come un sudario,
riemergono senza alcuna soluzione di continuità alla loro realtà
quotidiana che torna ad assorbirli dopo essere rimasti così, senza pensieri,
in una specie di soave dormiveglia. E in questo momento che si pongono davanti
allo specchio.
E lo specchio? Quello serve al più per annodarsi la cravatta, per una
fugace toccatina alla capigliatura già sistemata (sempreché sia
presente!) e per compiacersi per il proprio aspetto elegante e tirato.
E il mondo esterno? “…tutto restava intonato; non v’era neppure
una pennellata del colore del giorno prima, altrimenti l’avrei scorta
e il rimpianto m’avrebbe fatto disperare.”
Non sono queste le considerazioni che invece ti sorprendi a fare quando ti metti
davanti allo specchio per la tua quotidiana rasatura. Lo sguardo torvo, ancora
assonnato, scorre il tuo viso sul quale scorgi, con orrore, una ulteriore zampa
di gallina che ti ostini a chiamare “di espressione”; qualche altro
peluzzo tende a scolorirsi; la fronte ha guadagnato altro spazio ai danni dei
capelli. E va bene! Questa è la vita. Seguendo poi distrattamente il
cammino del rasoio, ti sorprendi a pensare che non è affatto vero che,
specchiandoti tutte le mattine, ti sembra di non essere ancora invecchiato:
lo sei e come!
E allora ti viene improvviso e inarrestabile il desiderio di chiederti se il
cammino che è dietro di te si è svolto secondo le tue aspettative,
se hai raggiunto gli obiettivi che ti eri prefissato, se ti sei comportato bene
con gli altri e cosa questi pensano di te. Questo muto colloquio tra te e lo
specchio, che ha tanto il sapore di una riflessione-confessione, talvolta si
chiude con la tacita promessa che fai a te stesso di più e meglio adoperarti
a favore del mondo che ti circonda, adoperarti in qualsiasi modo possibile,
da un semplice sorriso ad un impegno importante. Non interessano il luogo, le
modalità, le persone, le istituzioni: basta che tu abbia preso coscienza
che c’è bisogno del tuo aiuto e che tu intervenga.
Ma se non ti metti davanti allo specchio per raderti, se non ti rivolgi uno
sguardo indagatore, se non ti accorgi, riflettendo appena appena un po’,
che “…non v’era in quel giorno neppure una pennellata del
colore del giorno prima,…”come potrai maturare il desiderio e la
volontà di indirizzare più concretamente i tuoi comportamenti
a favore della parte di società più bisognevole?
Carissimi, pensosissimi e impegnatissimi signor ministro, A.D. di potentissima
multinazionale, politico dalla fronte sempre corrucciata per i gravosi pensieri
che l’attraversano, voi tutti preclari e ricercati (in tutti i sensi)
personaggi: qualche volta abbandonate il vostro figaro di fiducia e, alla stregua
di qualsiasi altro semplice ma sincero mortale, ponetevi di fronte ad uno specchio
e, prima di coprire le preziose guance di morbida schiuma, fissate il vostro
sguardo diritto nelle vostre pupille: quante cose sarà possibile leggervi!
Ti saluto con affetto.
Enzo
Roma, 6 giugno 2010