CELEBRAZIONE DEL 32^
ANNIVERSARIO DELLA CHARTER


21 Novembre 1997

Governatore, Autorità lionistiche, amiche e amici, ringrazio il Consiglio Direttivo del Club che mi ha voluto onorare affidandomi l’incarico di celebrare il 32° Anniversario della Charter Night, compito che mi accingo a svolgere in piena umiltà e con la speranza di esserne all’altezza.
Sarò breve, anche per motivi di natura organizzativa, ma principalmente perché memore di un detto del filosofo Zenone: Se abbiamo due orecchie e una bocca è perché dobbiamo ascoltare molto e parlare poco.
Come gli amici del Club sanno, quando ci troviamo insieme in occasione di una gita, l'incombenza di mia moglie e mia è quella di preparare il caffè per tutti, da consumare la mattina presto, appena partiti con il pullman.
Ma la mattina dell’undici ottobre scorso gli amici gitanti hanno corso il rischio di rimanere senza caffè.
Era successo che, mentre era sul fuoco la prima caffettiera, mi sono spostato verso lo scrittoio e mi sono soffermato a dare uno sguardo ad uno di quella ventina di fascicoli stampati due anni or sono per ricordare il 30° anniversario della nostra Charter Night, preparati per offrirli ai nostri amici del Club di Orbetello, mèta della nostra gita, e, un po’ soprappensiero, l’ho incominciato a sfogliare.
La mia attenzione è stata subito attratta da una foto pubblicata nella penultima pagina dell’opuscolo: un gruppo di persone, delle quali alcune in divisa, con alle spalle alcuni mezzi di soccorso.
La foto era il ricordo visivo di una stupenda giornata studiata a lungo e realizzata il 22 maggio 1993 dal mai dimenticato Past Presidente Walter Locatelli, scomparso da poco più di tre anni: “Un esercito per la vita”.
Quel giorno, accanto ai Lions dell’Aurelium, “un piccolo gruppo di un grande esercito di soldati semplici, di un esercito per la vita” - parole di Walter Locatelli - c’erano i Vigili del Fuoco, la Croce Rossa, la Polizia di Stato, i Carabinieri, l’Esercito, il Sovrano Militare Ordine di Malta, la S.I.P.; una manifestazione corale come non mai - coloro che l’hanno vissuta difficilmente dimenticheranno! - dedicata alle numerose istituzioni civili e militari che si prodigano in favore della collettività, anche in occasione di calamità naturali.

Nel ricordo odierno quanta tragica attualità, purtroppo!
Ecco cosa penso che noi siamo: soldati semplici di un grande esercito per la vita. Soldati semplici, laddove semplicità non è sinonimo di stupidità o di supina acquiescienza, ma di purezza di intenti e di completo disinteresse, senza smanie di necessitata visibilità e di esasperato carrierismo.
E vuol dire anche innata e spontanea vocazione a percepire con attenzione i problemi, le necessità, i bisogni dell’umanità che ci circonda e venire loro incontro come e laddove si può, ma comunque sempre con tempestività.
E nell’affermare ciò, non è assolutamente necessario impegnare le coscienze sul piano evangelico o di qualsiasi altra religione che inviti il credente a ben operare nei confronti del prossimo con la prospettiva di una ricompensa nell’ultraterreno: è sufficiente che l’individuo veda nell’altro la proiezione esterna del proprio “io” perché sia più che giustificata, se necessario, l’esigenza di un atto d’amore.
Dare e non pretendere nulla.
Quel delicatissimo ed estatico poeta indiano che fu Tagore chiude una delle sue Poesie del prodigio con questi versi: “Possa io offrire tutto senza pesare sul piatto della bilancia della lode e del biasimo”.
Parole che meritano profondissima riflessione!
Ed ecco che, come se si fosse aperto un diario pluriennale, mi tornarono alla mente gli avvenimenti più significativi delle più che trentennale vita del Club.
Tolto il gas alla caffettiera che soffiava e brontolava ormai da un po’ di tempo, con l’opuscolo che man mano sfogliavo, sono tornato ad immergermi in un mare di ricordi entusiasmanti, quelli lontani un po’ sfuocati nei contorni, ma limpidi nella loro concretezza centrale, quelli più vicini ancora palpitanti dell’appena vissuto.
Ecco l’Ospedale del Bambino Gesù con i suoi problemi nel campo della dialisi infantile. Quando l’Aurelium intervenne - ormai sono trascorsi vent’anni - in Italia per questa terapia esisteva un buco che andava da Genova a Bari: da quel momento la distanza venne dimezzata. E la dialisi infantile oggi è ancora più agevolata, grazie alla donazione di un’apparecchiatura portatile che la rende praticabile a domicilio.
La Fotoemoteca è un’altra realizzazione, scaturita dalla vulcanica mente del nostro caro Giulio Bernadini, che irrompe prepotentemente nella memoria con le sue centinaia di migliaia di tipizzazioni, con il suo rango di Service distrettuale, con il ricordo della presa emotiva sulle popolazioni delle località dove veniva presentata.
E su questo tema dell’assistenza e tutela nel campo della salute, che si snoda ininterrottamente per tre decenni, il viaggio della memoria incontra un’altra importante tappa: il Fiorino FIAT donato due anni or sono all’ANFFAS, associazione che si prende cura dei fanciulli e degli adulti subnormali.
Questi services appena ricordati sono alcuni dei pilastri di un impegno del Club che si snoda in questo campo, pilastri ai quali hanno fatto da corona decine e decine di altri interventi rapidi e tempestivi a favore di piccole comunità affidate solo alla pietà del prossimo. E’ un’attività, questa, che si svolge senza interruzione anche oggi, vero Umberto?, meno eclatante, ma non di minore importanza.
Ma scorrere l’elenco dei Presidenti del Club, riportato nell’opuscolo che ormai aveva catturato tutta la mia attenzione, ha significato per me ricordare che altri aspetti della vita avevano costituito oggetto di servizio da parte dell’Aurelium.
Il recupero dei beni culturali, ad esempio: ed ecco il restauro di un quadro del Sebastiano Conca e di un altro della scuola del Maratta, di una edicola mariana del ‘700 in Via Mario de’ Fiori, il contributo dato alla riapertura del Planetario e alla diffusione dell’importanza dell’Osservatorio Astronomico di Roma.
Proprio così: i Soci dell’Aurelium sono capaci anche di guardare le stelle, ma non credo che siano propensi - ed ora esprimo una mia personale opinione - a salire fin lassù per mostrare attenzione all’umanità sottostante ed individuarne, se del caso, necessità e problemi.
E’ vero che volando alto l’orizzonte si allarga, me è altrettanto vero che la visione, per la sua estensione globale, diviene quasi omogeneizzata, priva di contorni, di particolari e di individualità. Volando basso non soltanto abbiamo una percezione più netta e precisa, ma accade anche che la vita quotidiana è accanto a noi, palpitante di gioie e dolori, di colori e di ombre, di lamenti, di odori.
E poi come allontanare dalla mente del Lion, che vive intensamente la vita del proprio Club, che impegni eccessivamente sovradimensionati rispetto alla potenzialità del Club rischino di sfuggire alla gestione diretta e finire in quella delegata, o rivendicata, di una struttura sovraordinata?
Mi si potrebbe obiettare: ma il Sight First è un esempio di service di dimensioni mondiali, che però ha ricevuto l’adesione entusiasta di tutti i Clubs.
E’ vero, ma ritengo che a favore del Sight First abbiano giocato, tra l’altro, alcuni fattori ben precisi: la individuazione, quali destinatarie del service, di popolazioni di varie parti del mondo con una situazione complessiva di vita che trasversalmente le accomuna, al punto da essere definite globalmente “Terzo mondo”; la originalità del service, almeno per ciò che concerne l’aspetto territorialmente totalizzante e cioè perché destinato al mondo intero; la monotematicità assorbente e triennale; e, per ciò che concerne noi italiani, la stimolante presenza per la prima volta di un connazionale al vertice dell’Associazione.
Laddove emergono perplessità, modestissime e ininfluenti perplessità da parte mia, è allorquando, considerando ormai datato il volontariato finora svolto, perché troppo emozionale e poco programmato , sento parlare e leggo di auspici di inserimento della nostra Associazione nel contesto del variegato mondo del volontariato italiano, rivendicando anche posizioni di preminenza, che ci spetterebbero per l’ampiezza numerica che abbiamo raggiunto.
Questa potrebbe essere una aspirazione comprensibile, ma che mi permetto, sicuro di interpretare l’etica dell’Aurelium, di definire non condivisibile, per due ordini di motivi.
Il primo è il rischio di cadere nella omologazione e nelle rete di interessi locali e nazionali, gestiti con compromessi e manovre propri della politica la cui influenza, non possiamo negarlo, si sta facendo sentire anche in questosettore, con il pericolo di sacrificare sull’altare dello spazio da conquistare la nostra ineguagliabile fisionomia e identità.
Il secondo motivo può considerarsi la riduzione all’unità del concetto appena espresso, perché attiene al carattere e alla personalità di ognuno di noi Lions, soggetti dotati, per educazione e per formazione culturale e professionale, di una forte carica individuale, non individualistica, che ci induce a considerare con molta cautela qualsiasi progetto che possa comportare anche una parziale abdicazione alla propria libertà di azione e di giudizio in un campo liberamente scelto, il volontariato.
Atteggiamento rinunciatario, minimalista, pauperista? Non credo.
Gustav Mahler può stupirmi con la grandiosità della sua 8^ Sinfonia, detta anche “dei mille”, oppure con la straripante e possente 2^ Sinfonia; ma il cuore trova la quiete e la mente scopre nuovi pensieri d’amore grazie alle note dei due Concerti per piano di Chopin o dei Preludi di Debussy.
Attenzione a volare alto: l’aria si fa rarefatta, l’eccesso di ossigeno può troppo inebriare, gli incontri con la vita divengono meno frequenti e si naviga verso il nulla.
Hermann Hesse introduce nella mente del suo personaggio Narciso il dubbio che “forse era più difficile, più doloroso ma più nobile camminare per i boschi e le strade maestre, soffrire il sole e la pioggia, la fame e la miseria”, come è accaduto a Boccadoro, anziché, come fa fatto lui, condurre una vita regolata dalla campana che chiama alla preghiera e pensando che l’uomo è stato creato per studiare Aristotele e Tommaso d’Aquino.
Personalmente desidero continuare a farmi coinvolgere dal sorriso sghembo di un handicappato, a commuovermi per il “Dio ti benedica” uscito da una bocca invisibile in un volto dove ormai la punta del mento quasi tocca quella del naso, a stupirmi per l’energia ancora riposta nella stretta di mano di un vecchio.
Avete mai riflettuto sulla mano di un vecchio? Per nodosa e contorta che sia, la sua palma è ancora liscia e levigata come l’alabastro.
E’anche la mano di un genitore di novantadue anni, calzolaio per sessanta.

Il caffè gli amici gitanti lo hanno trovato ugualmente, ma solo per merito di mia moglie. Vi ringrazio.

(Segretario Enzo Maggi)

Roma - Palazzo Rospigliosi

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