Lettera al Governatore di Enzo Maggi

Roma, 26 Marzo 2000

Caro Pietro,

soltanto leggendo questa lettera comprenderai perché mi rivolgo a te con questi termini che possono apparire eccessivamente confidenziali e, di conseguenza, alla fine me lo avrai consentito.

Non posso non indirizzare a te, in qualità di padrone di casa, alcune mie riflessioni sulla serata di Venerdì 24 Marzo u.s., dedicata alla visita del nostro Presidente Internazionale. E non solo come padrone di casa, ma anche perché avverto nei tuoi confronti una corrente di simpatia che non è giustificata, vista la estrema rarità dei nostri incontri, altrimenti che dalla mia sensazione che tu sia il più concreto e disincantato di tutti i tuoi predecessori e meno di qualsiasi altro - e sottolineo qualsiasi altro – ammaliato e stregato da tutta quella congerie di orpelli che, scaturita dalla immaginazione di un popolo fanciullo - l’americano -, è riuscita a far breccia nei comportamenti di una gente - l’italica - che ben altri teatrini ha visto e vissuto.

Venerdì scorso, volgendo al termine la serata, mi sono sorpreso a ricordare, inconsciamente, quella deliziosa poesia dell’immortale Trilussa, “L’incontro de li sovrani” e più precisamente gli ultimi sei versi:

“E er popolo lontano,
rimasto su la riva,
magna le nocchie e strilla:
Evviva, evviva, evviva…-
E guarda la fregata
Sur mare che sfavilla.”

E’ passato quasi un secolo - la poesia è del 1908 - ma per la sua attualità sembra scritta venerdì sera, allorquando si sono incontrati “li sovrani”, si sono scambiati complimenti e onorificenze, si sono celebrati vicendevolmente con un rituale identico da sempre, almeno così come è impresso nella mia memoria che registra tali incontri da oltre venti anni.

E il popolo, cioè tutti gli altri, presenti e non, che non hanno avuto la fortuna e/o il merito di emergere a posizioni apicali, nazionali o internazionali? Che fine hanno fatto?

Attenzione: lungi da me l’assumere atteggiamenti populistici o giacobini e, di conseguenza, concludere che siccome in guerra sono i soldati che sparano e muoiono, è vietato dare medaglie ai comandanti. Però neppure è consentito che accada quasi sistematicamente il contrario. Venerdì sera non c’è stato un Officer di Club, uno che è uno che, in quanto tale, sia pure estratto a sorte, abbia avuto l’onore di stringere la mano, in forma ufficiale, al Capo supremo della nostra Associazione e ricevere un luccichìo metallico. Non un Presidente, un Segretario, un Cerimoniere e così via che potesse un domani essere fiero di un riconoscimento conferitogli pubblicamente e davanti alla stato maggiore nazionale e autorità internazionali.

No! Forse tra qualche settimana (e non è sicuro che accada, visti i precedenti), quando non sarà più Officer di Club, riceverà uno strapiegato guidoncino che non potrà mostrare ai Soci del suo Club dal podio e con orgoglio, perché la carica è ormai scaduta.

A questo punto sarebbe velleitario e patetico insieme, da parte mia e di chiunque altro, ricordare a qualcuno (non a te che, in premessa, ho ritenuto in possesso di un diverso modo di sentire) che la nostra è una Associazione di Clubs e che, quindi, la spina dorsale, l’asse portante, la vita stessa dell’Associazione sono i Clubs, dove si realizza il contatto con la società con la quale e nella quale intendiamo servire, percependone le esigenze, le aspirazioni, i bisogni attraverso il dipanarsi della vita quotidiana, concretamente, così come può accadere soltanto grazie alla sensibilità dell’individuo che, volontariamente, proponendosi come Lion, ha voluto porre a disposizione della società tempo e denaro ma, soprattutto, intelletto e amore.

E’ dal basso e non dalle stanze ovattate del potere che nascono le iniziative e le proposte di service; certamente esse poi, se vogliono assumere un respiro più ampio del locale, necessitano di essere metabolizzate e governate a livelli più elevati di responsabilità, di coinvolgimento e di visibilità. Devi convenire che raramente accade il contrario; la stessa campagna del Sight First non può non aver avuto un impulso scaturito da una presa di coscienza locale.

E’ velleitario ricordare questo? A me stesso, e solo a me stesso rispondo che non lo è, perché è soltanto con questi impulsi che mi sento motivato a rimanere ancora nella nostra Associazione, oltre all’altra grande e inestimabile ragione: l’aver incontrato molte persone con le quali si è instaurato un rapporto di amicizia tale che talvolta mi sorprendo a rammaricarmi del tempo trascorso privo di sì grande tesoro.

E da ultimo non dobbiamo dimenticare un altro aspetto importante della nostra Associazione: di essa fanno parte non soltanto dei “minus quam” come il sottoscritto, ma soprattutto persone che nella società hanno raggiunto altissimi traguardi sul piano professionale, privato o pubblico, e pertanto onuste di non pochi riconoscimenti le quali - almeno questo è il mio pensiero - potrebbero sentirsi gratificate non tanto da un posto al “tavolo d’onore” (a proposito: gli altri tavoli sono del “disonore”?) o da medaglie o guidoncini, ma da un colloquio continuo e aperto, anche critico e conflittuale, con i vertici più o meno elevati, affrancato da ritualità vetuste e ripetitive, recitate da sempre dai soliti personaggi. Tutto questo per far capire che il rapporto è tra pari, anche quando ci si debba muovere all’interno di una organizzazione gerarchica necessaria per il miglior funzionamento di un organismo complesso e articolato. La gerarchia, almeno tra noi, deve rifuggire da atteggiamenti autocelebrativi e divistici che spesso, spero involontariamente, assumono il sapore e la forma di divisioni tra caste e rischiano di divenire ridicoli.

Sarebbe pericoloso dimenticare che i Lions sono principalmente e fondamentalmente spiriti liberi e così come liberamente si sono offerti di servire, altrettanto liberamente potrebbero rifiutare vincoli e ritualità che essi, vincenti nella vita, hanno superato definitivamente.

Mi accorgo di aver abusato della tua pazienza: mi vorrai perdonare?

Ti saluto con immutato affetto.

Enzo Maggi