L’aspettativa di vita è aumentata in maniera considerevole in pochissimi
anni, addirittura è raddoppiata. Questo dato è incontestabile,
per lo meno se lo si riferisce a quella parte di umanità che non appartiene
al cosiddetto “Terzo Mondo” dove, purtroppo, la gente continua a
morire giovane e la mortalità infantile la fa ancora da padrona. A parere
di chi scrive, ha contribuito non poco a favorire il conseguimento dei su ricordati
risultati anche un diverso atteggiamento che l’individuo da qualche tempo
ha assunto nei confronti della propria persona con una maggior cura del corpo,
agevolata in ciò da una sempre più estesa e appropriata (e interessata!)
campagna di educazione fisica e sanitaria. Strumenti che, ovviamente, mancano
del tutto a chi ha come unica cura con la quale attendere al proprio corpo quella
di non farlo morire di fame o di preservarlo, se ci riesce, da malattie che
non lasciano scampo.
L’individuo, nel tagliare traguardi sempre più favorevoli, ha potuto
fruire di tutta quella serie di conquiste che la medicina - intesa sia come
prevenzione e cura che come chirurgia - ha conseguito e continua a conseguire
con una progressione che talvolta lascia stupiti per l’audacia e l’innovazione
che esibisce. A questo punto, sarebbe sciocco non seguire con curiosità
e interesse l’evoluzione di discipline che dichiarano di agire per il
bene dell’uomo, inteso nella sua fisicità, agevolando quest’opera
con atteggiamenti collaterali che però possono assumere aspetti ridicoli
e, come vedremo in seguito, anche pericolosi.
Ecco allora il fiorire di centri e palestre dove si praticano ginnastiche delle
più varie estrazioni etniche, dedicate anche a persone alle quali molte
volte, per la loro età, resta difficile anche il solo respirare e che
vede la utilizzazione di strumenti complicati e pesanti, quasi di tortura e
adatti più ad un atleta che ad un tardo pensionato, cui si accompagna
l’esposizione a raggi con sigle a piacere e la spalmatura di creme e oli
che fanno felici solo le case che li producono: è un quadro che viene
descritto senza alcun intento di condanna e che, per certi aspetti, può
anche destare invidia in chi eccede in pantofole. Ed è logico e consequenziale
alle osservazioni con le quali si sono aperte queste considerazioni.
Infatti sarebbe inconcepibile un diverso atteggiamento: mentre da un lato la
ricerca scientifica e tecnologica consegue risultati che, posti al servizio
dell’individuo, ne prolungano la vita affrancandolo da malattie secolari
e da patologie complicate, sarebbe delittuoso che l’individuo stesso non
affiancasse questo adoperarsi della scienza e si lasciasse andare ad atteggiamenti
lassisti e sciatti, con la totale incuria del proprio corpo e la completa ignoranza
dei rimedi che vengono offerti.
Comunque “est modus in rebus”.
Il pericolo di eccessi e il timore di non essere più “à
la page” in materia salutistica è dietro l’angolo e può
offrire il fianco, visto dalla parte dell’individuo, a conseguenze negative
sia nel fisico che nella informazione terapeutica. A chi, invece, agisce esternamente
e fornisce mezzi e notizie in questo campo, viene offerta l’opportunità
di influire pesantemente sulle aspettative e decisioni del soggetto fruitore,
sempre timoroso di perdere l’ultima novità.
Erano queste le riflessioni alle quali mi lasciavo andare quando venerdì
18 aprile, presentato dal Presidente del Club Aurelium Prof.Avv.Giuseppe Gugliuzza,
il Dott. Gianpiero Pirro, responsabile della comunicazione della Federazione
Medici Medicina generale del Lazio, affrontava il tema della comunicazione sanitaria
così come esercitata dai mass media nella sua generalità. Molto
opportunamente il Dott. Pirro si adoperava nel sottolineare come il più
delle volte la carta stampata, la televisione, e l’ormai invasivo internet,
forniscono informazioni in materia sanitaria in forma alquanto stringata e pregna,
quando riferita a malattie ancora gravi e letali, di un ottimismo e una aspettativa
che non trovano riscontro nello stato in cui ancora si trova la ricerca. E non
mancano esempi di incomprensibile enfatizzazione allorquando queste notizie
vengono offerte all’interno di spettacoli televisivi di intrattenimento
leggero.
L’oratore, acutamente intervistato dal Presidente Gugliuzza con una procedura
un po’ insolita per il nostro Club, osservava che, in questi casi, ci
si poteva trovare di fronte ad una comunicazione sanitaria che non è
difficile definire scorretta, definizione pienamente condivisa dallo scrivente
se tenuto conto del livello di attenzione che si è insediato nell’individuo
proprio per quelle considerazioni elencate nell’introduzione di questo
scritto: prolungata aspettativa di vita, maggiore considerazione del proprio
fisico, speranza di accedere a nuovi e risolutivi strumenti di cura.
Purtroppo non credo che oggi, a fronte di simili comportamenti dei mass media,
mossi da ragioni più di cassetta che di natura etica, possano essere
invocati interventi che rischierebbero di apparire autoritari. Tuttavia è
auspicabile quanto meno una maggior cura nello studio delle fonti e la loro
attendibilità e un più responsabile e attento impegno nella stesura
dell’articolo, evitando trionfalismi e illusioni vane. Più di detto
auspicio non ritengo che vi sia da proporre.
L’altro aspetto del tema della serata, “La comunicazione sanitaria”,
era stato affidato all’intervento del Dott. Mario Falconi, Presidente
dell’Ordine dei Medici di Roma e provincia ed aveva come argomento il
tanto noto e discusso “consenso informato”. Come con il Dott. Pirro,
il Presidente Gugliuzza rivolgeva al Dott. Falconi una serie di domande a mo’
di intervista, alle quali venivano fornite risposte puntuali e abbastanza esaurienti.
Dico abbastanza perché continuava ad aleggiare nell’uditorio un
desiderio di informazioni, probabilmente originato dal fatto di essere stati
almeno una volta coinvolti in circostanze in cui si aveva avuto a che fare con
il cosidetto “consenso informato”. Desiderio andato deluso per improvvisi
impegni dell’oratore che lo hanno allontanato dalla serata.
L’istituto, la cui introduzione trova spunto dal dettato degli articoli
13 e 32 della Costituzione della Repubblica Italiana, è normato da una
serie di disposizioni legislative che si snodano dal 1978 al 1999 e si avvale
anche del Codice di Deontologia medica del 1998. Anche se comunemente il “consenso”
viene ricordato e riferito alle circostanze che precedono un intervento chirurgico,
esso, nella sua precisa e puntuale accezione, riguarda qualsiasi trattamento
sanitario (accertamento diagnostico, terapia, ecc.), per il cui svolgimento
è necessario il valido consenso della persona interessata, cui vanno
fornite idonee informazioni in ordine al trattamento al quale sarà sottoposta
e ai rischi che ne possono derivare.
Alla luce di un linguaggio così freddo e distaccato, sembrerebbe trovarci
di fronte ad un ulteriore adempimento burocratico che si aggiunge ai tanti che
da qualche tempo affogano i medici, una operazione di stile con la quale garantirsi
da conseguenze giudiziarie, un momento di conflitto nella relazione medico-paziente.
Niente di più erroneo: esso deve essere invece inteso come un momento
di quella alleanza terapeutica per affrontare in modo corretto la malattia.
Purtroppo quanto appena scritto, in moltissimi casi, assume non l’aspetto
di un dettato burocratico, bensì il valore di una grida manzoniana. Non
mancano esempi di applicazione ineccepibile: chi scrive, protagonista di vari
interventi chirurgici, ha talvolta partecipato preventivamente a veri e propri
colloqui con medici e psicologi. Però non sono mancate anche informative
(complicate e di difficile lettura come un contratto assicurativo) sottoposte
alla firma quando si era già in barella, nudi come vermi e in preanestesia,
parcheggiati al gelo dei locali adiacenti la camera operatoria.
Probabilmente, il verificarsi di questa incresciosa discrasia tra dettato normativo
e applicazione pratica, peraltro onorevolmente riconosciuta dal Dott. Falconi,
e che riguarda altresì il comportamento che il personale sanitario assume
nei confronti del paziente anche nei casi di semplice ricovero, quando il rito
delle visite quotidiane si svolge quasi sempre come “res in alios acta”,
più destinata a momenti didattici verso specializzandi che ad un colloquio
con il paziente; probabilmente, si diceva, il ricordo di simili vissute o conosciute
circostanze era alla base di quel desiderio di notizie e chiarimenti, andato
purtroppo deluso.
Ma aldilà di esposizione di casi personali, una domanda rimane non espressa
e, quindi, senza risposta. Diversamente da quanto accade nel campo dei mass
media che, come visto in precedenza, agiscono in un terreno estremamente variegato
e difficilmente riconducibile ad unum per ottenere l’applicazione di un
codice di autoregolamentazione, per l’attività sanitaria, invece,
vista l’esistenza di una normativa che sembra essere puntuale e cogente
e la constatazione che ci si trova di fronte ad una attività che, sia
pure attraversata da specializzazioni, è sempre possibile far risalire
ad un momento unificante rappresentato dalla salute dell’individuo, ci
si chiede se per caso non sia possibile intervenire per evitare atteggiamenti
non in linea con norme di legge e di codice deontologico, considerate anche
l’autonomia e la governabilità delle strutture sanitarie che fanno
capo ad una figura apicale, il direttore sanitario.
La trattazione dei risvolti e delle conseguenze di ordine legale, a chiusura
della interessantissima serata, ha costituito il compito del Presidente Gugliuzza.
Ma sul suo intervento si invoca astensione di giudizio: in parte perché
troppo tecnico e, quindi, completamente estraneo alla preparazione di chi scrive;
e poi, mentre le strade dei due altri oratori in futuro difficilmente si incroceranno
con quella dello scrivente e, quindi, anche in presenza di stupidaggini da ascrivere
all’autore, si è quasi al sicuro, l’immanenza del Presidente
Gugliuzza è invece assai ardua da ovviare. (Enzo Maggi)