Caro Dino, riprendo la mia abitudine di indirizzare a te un mio scritto
sotto forma di lettera. Si tratta del resoconto della serata del nostro
club dedicata alla tradizionale Festa degli Auguri ma che, per le
argomentazioni svolte e le riflessioni contenute, ritengo che mal
si concili con un articolo inteso in senso stretto, sembrandomi invece
più una esternazione da confidare ad un amico, paziente e disponibile
come te.
Dunque: la mattina successiva alla Festa degli Auguri, conclusasi
la sera precedente in sana e cordiale allegria, mi accingevo a raccontarne
lo svolgimento; ma la mia attenzione venne però catturata da
un libro di cui un cugino acquisito aveva voluto farmi dono natalizio,
dal titolo intrigante e che prometteva interessanti notizie storiche,
e non solo: “Paolo - L’ebreo che fondò il Cristianesimo”,
edito nel 1999. Nella quarta di copertina potei leggere che l’autore,
Riccardo Calimani, dal 2013m, Presidente della Comunità ebraica
di Venezia, avrebbe preso “in esame la figura di Paolo di Tarso,
fariseo per nascita e apostolo di Cristo per vocazione”, “Feroce
persecutore dei primi Cristiani”, trasformatosi poi “in
uno dei più accesi testimoni della parola di Gesù”,
dopo la sua conversione sulla strada di Damasco, così plasticamente
rappresentata dal Caravaggio per ben due volte. Mentre nelle prime
pagine del libro guardavo con stupore le cartine che rappresentavano
i quattro viaggi che Paolo, partendo il primo da Antiochia e i successivi
da Gerusalemme, aveva compiuto dal 45 al 61 d.C., visitando e sostando
in molti paesi ad est della Grecia e nella Grecia stessa, per arrivare
infine a Roma, dove avrebbe trovato la morte, mi chiedevo se le enormi
distanze ricoperte e i lunghi soggiorni presso molte comunità
in appena sedici anni, in un’epoca in cui i mezzi di trasporto
erano o le proprie gambe o quelle di qualche cavallo o mulo, non avessero
del prodigioso. La curiosità che mi spingeva a sfogliare il
volume mi fece arrivare alla pagina nella quale l’autore prendeva
congedo dal lettore, “Senza particolare tenerezza” nei
confronti delle idee di Shaul Paolo, affermando che “Gesù
è stato un buon ebreo osservante, Shaul Paolo un ebreo trasgressore.”
Lo sconcerto provocato da queste affermazioni mi stavano spingendo
a dedicarmi ad una lettura completa e assai attenta del libro che
avevo tra le mani, trascurando i miei doveri di cronista della vita
del club Aurelium; vennero in mio aiuto, per richiamarmi all’ordine,
le notizie che un televisore, piazzato accanto alla mia cameretta,
diffondeva mo’ di contrappunto del mio riflettere e che parlavano
di grande luce e di pastori: era il resoconto giornalistico della
prima Messa di Natale celebrata da Papa Francesco e della sua omelia.
Con molta facilità riuscii a recuperarne il testo e leggerne
il passo che, ascoltato per caso, mi aveva distolto dal proposito
di dedicarmi alla lettura del libro di Calimani: “Chi odia suo
fratello - scrive l’apostolo Giovanni - è nelle tenebre.”…”E
in questa notte…si rinnova l’avvenimento che sempre ci
stupisce…il popolo in cammino vede una grande luce. Una luce
che ci fa riflettere su questo mistero: mistero del camminare e del
vedere. I pastori sono stati i primi a vedere Gesù perché
erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché
vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge.”
Un irrispettoso, molto irrispettoso accostamento mi fece tornare alla
mente quanto era accaduto poche ore prima nell’elegante sala
del Grand Hotel Parco dei Principi: anch’io avevo parlato di
pastori che erano stati testimoni della nascita di Gesù, annunciata
da una grande luce, e Lo avevano potuto vedere e baciare nella grotta
che Lo ospitava assieme alla Madre. Ne avevo parlato leggendo alcuni
versi da “Er Vangelo seconno noantri” di Bartolomeo Rossetti,
versi che raccontavano lo stupore, la generosità e l’amore
di queste umili persone, “La barba lunga e la camicia rotta…
portanno ‘na frocella de ricotta”, le uniche ad essere
sveglie perché facevano la guardia al loro gregge, così
come affermato da Papa Francesco. Ed erano stati i primi perché
erano tra gli ultimi, gli emarginati, anticipando nella realtà
quanto in seguito il Cristo avrebbe proclamato nel suo “Discorso
della montagna”, riportato da Matteo nel suo Vangelo.
Questo ricordo, pur nell’audacia della sua combinazione, mi
è tuttavia servito a farmi recuperare il motivo per il quale
mi ero seduto davanti al mio pc, riportandomi ad una situazione meno
speculativa ma pur sempre degna di essere rammentata, per l’impegno
profuso da chi ne era stato l’organizzatore e cioè il
Presidente Chiricotto, affiancato dalla sua meravigliosa consorte
Luisa e dal suo staff, per la larga partecipazione di soci e amici,
non soltanto come presenza, ma anche per il contributo offerto al
livello culturale che l’aveva contraddistinta, così come
voluto dal Presidente: una serata dedicata alla poesia. Infatti tutti,
soci e non, parenti e amici, erano stati invitati ad inviare ad un
apposito comitato le loro composizioni poetiche, che sarebbero state
lette e valutate per individuarne le tre migliori, da premiare e da
abbinare alla tradizionale lotteria di fine anno. Al concorso hanno
partecipato sette autori con oltre venti poesie e ha visto vincitore
Gianfranco Carpi, poeta di lungo corso, seguito da Daniela Chiricotto
e da Teresa Manzaro. Tutte le composizioni sono state raccolte in
una elegante brochure, offerta in omaggio a tutti i presenti. La stessa
sera, rientrato a casa, le ho lette tutte e le ho trovate tutte gradevoli.
Nei versi di alcune di esse ho visto rispecchiarsi atteggiamenti ed
espressioni proprie di persone che conosco e frequento da anni, in
altre ho tentato di figurarmele. Ma per tutte ritengo che possa valere
l’affermazione di Charles Bukowski, riportata in quarta di copertina
della brochure e in chiusura di tutti i messaggi inviati ai soci dell’Aurelium
da Monica Maggi (mi si perdoni questa debolezza paterna!): “La
poesia qualcosa vale, credetemi. Impedisce di impazzire del tutto.”
In chiusura di questo scritto, ritengo che non si debba dimenticare
la generosità del Presidente Chiricotto e della dolce Luisa
per i graditissimi doni che hanno voluto offrire a tutti gli intervenuti
alla serata, in particolare alle signore con un bellissimo diffusore
ambientale di profumo e ai signori con due bottiglie di pregiato vino.
Le veloci e delicate mani di Maria Paola Manucci hanno accarezzato
con dolcezza le sette ottave di un pianoforte, creando una atmosfera
parigina e di altri luoghi colmi di ricordi nostalgici che ha accompagnato
tutta la cena. Dopo il tocco della Campana che ha decretato ufficialmente
la chiusura della serata, Maria Paola ha dovuto, con ammirevole sprezzo
del pericolo, assecondare le perigliose inimitabili esibizioni canore
di alcuni soci, che hanno voluto avventurarsi nel terreno riservato
alla dea Calliope. Questa volta si potrebbe dire che gli assenti non
sempre hanno torto!
Ti saluto con affetto. Enzo