Venerdì 23 maggio: Conviviale interclub con il L.C. Roma Tiberis sul tema "Gabriele d'Annunzio: Poeta e Soldato" relatore il nostro socio ing. Domenico Giglio.

CONVIVIALE INTERCLUB CON IL L.C. ROMA TIBERIS

23 maggio 2014


INCONTRO CON GABRIELE D’ANNUNZIO

di Enzo Maggi

A completamento di una meravigliosa e interessante trilogia, iniziatasi nel marzo del 2008 con Giosuè Carducci e seguita nel gennaio del 2012 con Giovanni Pascoli, il 23 maggio di questo 2014, in una conviviale svoltasi, su iniziativa del nostro Presidente Enrico Chiricotto, anche con la partecipazione in interclub degli amici lion del Roma Tiberis, il nostro socio ing. Domenico Giglio ancora una volta ha stupito l’attento e affollato uditorio con una lectio magistralis dedicata a Gabriele d’Annunzio, personaggio storico molto più complicato da ricordare degli altri due per la sua vita tumultuosa, che lo ha visto protagonista in quasi tutti gli aspetti dell’umana esistenza. Ed infatti il suo ricordo si è limitato a quei due che maggiormente hanno contribuito alla creazione della meritata fama: “Gabriele d’Annunzio poeta e soldato”. Ma questi due soli profili, per quanto complessi e intricati, non hanno impedito all’ottimo oratore di realizzare una convincente e perfetta rievocazione del personaggio che tutti noi abbiamo incontrato nel corso dei nostri studi o delle nostre letture, pur non ricorrendo, diversamente dalle occasioni precedenti, alla declamazione a memoria di una composizione del Poeta pescarese. Anche il vostro cronista non si è potuto sottrarre dal sentirsi appagato da quanto ascoltato e che ha contribuito a rammentare, assieme a versi e date, nostalgici momenti di candore studentesco, insidiati da malevoli pettegolezzi e pruriginose insinuazioni che avevano accompagnato le imprese del Nostro.
Altro non vi sarebbe da aggiungere, oltre quanto ha saputo raccontarci l’amico Giglio, per arricchire la piacevole serata, se non rievocando altri particolari di diversa natura che hanno scandito la aggrovigliata vita di d’Annunzio, con episodi che attengono alla vita politica, alle sue intuizioni sociali, alle spericolate avventure finanziarie, ai suoi innumerevoli amori, con il rischio, per questi ultimi, di finire nel gossip.
Mentre era parlamentare, la sua irrequietezza lo portò, nel marzo del 1900, a passare clamorosamente dai banchi della destra conservatrice, dove era stato eletto, a quelli della sinistra. Scelta non felice: alle successive elezioni non fu confermato! Del suo esagitato interventismo allo scoppio della prima guerra mondiale, delle sue imprese aviatorie e di molto altro ancora abbiamo sentito parlare dal nostro conferenziere; come pure dell’occupazione della città di Fiume, avvenuta il 12 settembre 1919. Comunque di questo eclatante episodio è interessante ricordare la sperimentazione di formule e rituali collettivi quali discorsi dal balcone, adunate coreografiche, dialoghi tra il capo e la folla, che ricordano moltissimo, ieri senza il web e oggi con il web, qualcosa che è accaduto e che sta accadendo. Ma è doveroso non dimenticare che nel corso della vita dell’occupazione di Fiume, conclusasi cruentemente nel dicembre dell’anno successivo con una azione definita poi da d’Annunzio “Natale di sangue”, venne varata una costituzione provvisoria contenente l’introduzione di leggi e regolamenti di una modernità incredibile, concernente i diritti dei lavoratori, le pensioni di invalidità, il suffragio universale maschile e femminile, la libertà di religione e di orientamento sessuale, compresa la omosessualità, l’uso della droga ed anche il risarcimento degli errori giudiziari. Il tutto con una preveggente intuizione che anticipava ampiamente le successive carte costituzionali; anzi, possiamo affermare a ragion veduta che, a distanza di quasi un secolo, molto di quanto sopra ricordato è ancora in fase di studio!
Però nella circostanza sopra ricordata venne introdotta anche tutta una serie di atteggiamenti altrettanto preveggenti, anzi premonitori di un regime che di lì a poco avrebbe fatto il suo ingresso sulla scena politica italiana, il fascismo: il saluto col braccio alzato, il pugnale alla cintola, il grido di “Alalà”, la camicia nera ornata di teschi e altro ancora, compreso l’olio di ricino. Possiamo ben affermare che il fascismo, almeno dal punto di vista della simbologia, nacque a Fiume. Ma sulla conclusione dell’avventura di Fiume corre una diceria. Ad una commissione di cittadini che si era presentata al Comandante per chiedere di porre fine alla lotta fratricida che stava insanguinando la città, fu risposto che la decisione sarebbe stata affidata alla sorte, ad un “testa o croce” di una moneta. La moneta venne lanciata in aria senza specificare quale significato veniva dato all’una e all’altra faccia: venne testa e d’Annunzio le attribuì il significato della resa!
Anche se il regime fascista lo celebrò come grandissimo poeta e letterato, i rapporti con Mussolini furono sempre tiepidi; il momento di massima frizione si ebbe in occasione della marcia su Roma che il poeta pescarese non approvò. Tuttavia il capo del fascismo non poteva sottovalutare il peso morale di un personaggio come d’Annunzio; e quest’ultimo non trovava conveniente continuare a snobbare il nuovo regime, al quale poi aderì. E quanto sopra detto trovò espressione nel sostanzioso contributo che Mussolini fece elargire al Vate per ristrutturare la villa di Cargnasco, da poco acquistata, trasformata in un teatrale mausoleo di ricordi e simboli mitologici; e in seguito continuò ad elargigli, a mo’ di pensione, un assegno statale per coprire i ripetuti debiti creati. In compenso, non mancarono discreti spionaggi, posti in atto da un regime fragile e sospettoso. A proposito di debiti, la vita dispendiosa ed esuberante alla quale si era da sempre dedicato, lo costrinsero addirittura, nel 1910, a trasferirsi in Francia, per evitare i creditori che lo perseguitavano e nelle cui mani lasciò l’arredamento della Capponcina, la stupenda villa affittata per andarci a vivere con la divina Eleonora Duse.
Prendendo spunto dal ricordo della famosa attrice, l’argomento che più degli altri stimolava la curiosità e l’immaginazione degli studenti dell’epoca del vostro cronista, erano le donne del Poeta pescarese, visto che i nostri insegnanti, non insensibili al clima politico-religioso che allora si respirava, limitavano l’approccio alle opere del Vate unicamente a ”La pioggia nel pineto” o a “I pastori”, lasciando alla libera iniziativa dei più o meno volenterosi discenti la ricerca e la consultazione di opere ben più interessanti e coinvolgenti. Anche perché, almeno come notizia, si conosceva che di donne d’Annunzio aveva fatto una invidiabile collezione, passando indifferentemente dalle nobildonne alle attrici, dalle pittrici alle pianiste, a semplici donne del popolo, non disdegnando normali meretrici, che le venivano procurate, durante l’ultimo periodo della sua vita, da Albina, una grassoccia e volenterosa cuoca, che non venne mai licenziata: non sappiamo se perché cucinava bene oppure per il suo ulteriore impegno. Non mancò neppure qualcuna che, forse pentita, chiuse la sua esistenza rifugiata in un convento come suora. E degli ultimi anni della sua permanenza al Vittoriale si vociferava che ricevesse le operatrici del sesso completamente avvolto in una camicia da notte e nella penombra più assoluta, per nascondere ad occhi curiosi un fisico invecchiato e sempre più preda di stimolanti droghe.
All’inizio di questo brano si è fatto ricorso la termine gossip. Però scritti autografi, cronache autorevoli, documenti autentici stanno a testimoniare che non si trattava di pettegolezzi. Probabilmente nel ricordarli e descriverli esisteva a quei tempi un difetto di terminologia, che soltanto ora si è fatto strada.

 

GABRIELE D’ANNUNZIO: POETA E SOLDATO

(Pescara 12 marzo 1863 – Gardone 1 marzo 1938 )
di Domenico Giglio


Gabriele d’Annunzio nascendo il venerdì 12 marzo ispirava alla madre queste parole di affettuosa superstizione che anche altre madri avranno forse pronunciato senza fortuna, ma che in questo caso ebbero invece vastissima conferma: “Figlio mio, sei nato di marzo e i venerdì, chi sa che grandi cose Tu dovrai fare nel mondo”. Infatti d’Annunzio fece di tutta la sua vita un inimitabile poema,una rappresentazione continua in tutte le attività svolte che furono talmente numerose e ricche di eventi che già enumerarle è un vero catalogo ed illustrarle richiederebbero convegni e celebrazioni di intere giornate.

D’Annunzio poeta,se pensiamo che già a 16 anni pubblicò una ode al Re Umberto I° ed a 17 la raccolta “Primo Vere”; d’Annunzio novelliere, che a 19 anni pubblica “Terra vergine”; d’Annunzio romanziere, che a 26 anni pubblica il primo romanzo “Il piacere” documento della vita nella Roma umbertina “fin de siecle”con pagine indimenticabili su Roma sotto la neve e sul Cimitero degli inglesi in un tramonto d’estate; d’Annunzio giornalista su giornali romani con “Cronache bizantine” e firmandosi anche il “Duca Minimo”; d’Annunzio drammaturgo, con la “Città Morta”, del 1899,forse ispirata da quel viaggio nel 1895 in Grecia con un gruppo di amici, fra i quali il famoso giornalista Scarfoglio; d’Annunzio uomo politico,eletto deputato per la destra nel 1897, nel Collegio uninominale di Ortona e che nel 1900 passa clamorosamente a sinistra “…vado verso la vita…”; d’Annunzio soldato, nel 1889-90 nei cavalleggeri, quando entrando in Romagna recita i versi pascoliani “…Romagna solatia dolce paese…”,d’Annunzio scrittore raffinato anche nella lingua francese con la “Pisanelle, ou la mort parfumèe” ; d’Annunzio abruzzese con i suoi amici, dal pittore Francesco Paolo Michetti ,a cui si deve un ritratto dove ancora d’Annunzio ha tutti i suoi capelli ed una barbetta mefistofelica, a Paolo Tosti e la loro vita a “Il convento”; d’Annunzio cineasta con la sceneggiatura del grande film storico “Cabiria” del 1914; D’Annunzio prosatore, oratore e statista dal “Notturno” alle “Cento e cento… pagine del libro segreto…” ,dal discorso a Quarto il 4 maggio 1915,anniversario della spedizione dei “mille” di Garibaldi alla marcia su Fiume del 12 settembre 1919 ed alla successiva “Carta del Carnaro”,sulla quale,come su quasi tutti gli aspetti citati ritorneremo più tardi;d’Annunzio pubblicitario con il “parrozzo” e soprattutto con “La Rinascente”;d’Annunzio e la musica con Zandonai che musica la sua “Francesca da Rimini”,Mascagni con la “Parisina”,Pizzetti con la “Pisanella”,”La nave”,”La figlia di Jorio” e Debussy con “Le martyre de Saint Sebastien”. E d’Annunzio e le donne ? Nel 1883,il 28 luglio, a venti anni sposa la duchessina Maria Hardouin di Gallese,da cui ebbe tre figli : Mario,Gabriele ed Ugo Veniero,ma già poco dopo la relazione con Maria Gravina,da cui nacque Renata,la “Sirenetta” del “Notturno”,quando ferito ad un occhio, con il rischio della cecità,per un incidente di volo del 16 gennaio 1916, durante la Grande Guerra,le dettava le splendide note , “…ecco che riacquisto l’orecchio del poeta,seduto in riva al fiume del tempo : ricordo la melodia del perpetuo fluire…”, raccolte appunto nel “Notturno”; poi ancora Alessandra di Rudinì.e la famosa attrice tragica Eleonora Duse,per la quale scrisse numerose tragedie che Lei interpretò splendidamente ,senza tralasciare la relazione infine con la Barbara Leoni alla quale scrisse lettere infiammate che per l’epoca erano quanto mai scandalose. E per essere in linea con i tempi anche un duello nel 1885,all’epoca usanza tra le più comuni ( ! ),con una ferita al cuoio capelluto,per non parlare dei suoi rapporti con Mussolini,dove da possibile maestro e guida,finì per essere una figura poco più che simbolica,ricca di onori,dal titolo di “Prncipe di Montenevoso”,monte delle Alpi Giulie,conferitogli dal Re il 15 marzo 1924,confinato però nella splendida villa di Cargnacco a Gardone Riviera,da Lui denominata “Il Vittoriale”,dove fra gli altri cimeli della Grande Guerra,quale ad esempio il M.A.S. “96”,della “beffa di Buccari”, fece pure trasportare e rimontare la prua della R.N.Puglia.

Questa elencazione dei numerosi e svariati aspetti che compongono la figura senza dubbio “inimitabile” di Gabriele d’Annunzio , se sviluppata,richiederebbe per ciascun argomento ben più di una conversazione e forse,come già detto, non basterebbe un’intera giornata,perciò cerchiamo di focalizzare gli aspetti che possono essere ancora oggi validi dalla poesia, “…Exegi monumentum aere perennius..”,dice della poesia Orazio,e l’amico e sodale Pascoli,nel poema “Solon”,apprezzato da d’Annunzio,fa dire a Saffo “…ed il poeta,finchè non muore l’inno. Vive immortale…”,all’esempio di coerenza civile e di valore fisico di Gabriele d’Annunzio soldato ed anche alla sua figura di statista,legata a quella “Carta del Carnaro”,poco conosciuta in quanto inattuata ,travolta nel finale della vicenda fiumana ,con il famoso “Natale di sangue” del 1920.

D’Annunzio soldato : quando l’Italia,il 24 maggio dichiara guerra all’Austria-Ungheria,d’Annunzio ha già 52 anni,per cui non aveva né obbligo,né dovere di parteciparvi fisicamente,ed infatti lo stesso Stato Maggiore vorrebbe risparmiarlo,ma Lui si ribella ed in una lettera inviata al Presidente del Consiglio Salandra dice “…tutta la mia vita ho aspettato quest’ora…per trent’anni io ho gridato “armi armi armi…”navi navi navi”…io non sono un letterato…in papalina e pantofole…io sono un soldato,ho voluto essere soldato…per fare quello che fanno i soldati…” per cui alla fine viene richiamato alle armi,iniziando una vita ardimentosa,specie con i raid aviatori, la nuova arma aerea che ,per prima ,l’Italia aveva sperimentato nella guerra di Libia. L’arma aerea si andava infatti affermando ,sia pure con azioni di ricognizione e di modesti bombardamenti,ma soprattutto con duelli aerei di cui ogni nazione belligerante ebbe i suoi campioni,che per l’Italia fu Francesco Baracca,con 34 vittorie ,prima di cadere ucciso sul Montello,il 19 giugno 1918,e che aveva dipinto sulla fusoliera del suo velivolo un “cavallino rampante”,quello che anni dopo,il grande progettista ing.Enzo Ferrari riprese per le sue automobili,con spirito e sensibilità patriottica,di cui oggi si è perso lo stampo ! E d’Annunzio inizia subito i suoi voli ,fin dal 7 agosto 1915,con meta Trieste,dove con un ottimismo che la realtà della guerra doveva smentire,dice ai Triestini che entro pochi mesi,e furono invece trentanove, sarebbero stati raggiunti e liberati dal nostro esercito.Missione perciò pacifica,come quella su Vienna,di cui parleremo più avanti. Dopo poco più di un mese ,il 20 settembre 1915 un analogo volo su Trento.Viene poi il già ricordato incidente per cui sembra finita ogni ulteriore attività militare ,specie aviatoria,ma la forte fibra di d’Annunzio supera questa difficile prova,per cui si riprende e verso la fine del 1916, tra il 31 ottobre ed il 2 novembre,questa volta a fianco dei fanti della 45° Divisione ,si fa animatore dell’attacco a Doss Fait, nel corso della IX battaglia dell’Isonzo, partecipando alla sua conquista, e sul Fait viene issata la bandiera tricolore portata fin lì dal d’Annunzio stesso. Il 1917 lo vede nuovamente partecipe in qualità di osservatore a ben tre incursioni aeree sul porto di Pola, nel mese di agosto, ed il 4 ottobre ad un altra azione di bombardamento su Cattaro. Anche la guerra sul mare attira e seduce d’Annunzio,che fin dal 1915 aveva partecipato ad azioni di guerra imbarcato sul cacciatorpediniere “Impavido” e successivamente sul “Bersagliere” per cui nel 1918 con una flottiglia di tre MAS ( sigla di “motoscafi anti sommergibili”),mezzi la cui sigla fu da Lui ribattezzata in “Memento Audere Semper”,scortati da nostri cacciatorpedinieri,comandati da Costanzo Ciano e da Luigi Rizzo,nella notte dal 10 all’11 febbraio si introduce nella Baia di Buccari,nel golfo del Quarnaro,dove lancia alla marina austriaca un “cartello di sfida”,la cosiddetta “Beffa di Buccari”,contenuto in tre bottiglie suggellate e coronate di fiamme tricolori :”In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa,sono venuti…..nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre…a OSARE L’INOSABILE…”. Il culmine della sua attività è nuovamente una azione aerea,questa volta addirittura su Vienna ,il 9 agosto 1918 ,azione concepita e diretta personalmente,con ben 8 apparecchi della 87° squadriglia “Serenissima”, dove non si gettarono bombe,ma manifestini tricolori,con lo scudo sabaudo al centro,dove era scritto : “ Viennesi ! imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate .Non vi lanciamo che un saluto a tre colori, i tre colori della libertà… volete continuare la guerra ? Continuatela. E’ il vostro suicidio…Popolo di Vienna pensa ai tuoi casi. Svegliati !viva la libertà, viva l’Italia…”.

Questa la sintesi di una continua rischiosa attività militare che lo vide insignito di due Ordini Militari di Savoia, di cinque medaglie d’argento,di una medaglia d’oro ,di una medaglia di bronzo e di ben tre promozioni per meriti di guerra fino a diventare tenente colonnello da modesto tenente che era! Anche qui d’Annunrizio è un amante appassionato,ma di una donna chiamata Italia “Italia,Italia,sacra alla nuova aurora con l’aratro e con la prora..”

Avevamo parlato di un d’Annunzio statista,per cui senza entrare nel merito della sua avventura fiumana,iniziata con la marcia del 12 settembre 1919 per dare all’Italia l’italiana città di Fiume,dimenticata nel Patto di Londra,del 1915,e terminata ai primi di gennaio 1921,dopo il già ricordato “Natale di sangue”,d’Annunzio si trova ad essere il Capo di Stato di questa città di Fiume,emettendo fra l’altro francobolli aventi la sua effigie,ed in attesa e nella speranza del suo ricongiungimento all’Italia,che avverrà solo nel 1924,ritiene necessario dotare questo piccolo stato di una costituzione,che sarà chiamata “Carta della Reggenza italiana del Carnaro”, la cui prima stesura è dovuta ad Alceste De Ambris,singolare figura di sindacalista rivoluzionario,divenuto poi interventista nel 1915 ed accorso a Fiume,affascinato da d’Annunzio,che innesterà sulla stessa le sue vedute e che ne fanno uno dei documenti più inattesi e sconvolgenti della sua multiforme natura.L’originalità e la modernità di questa costituzione,resa pubblica nel Teatro Fenice a Fiume il 30 agosto ed ufficialmente promulgata l’ 8 settembre 1920, è in diversi basilari elementi dalla “libertà fondamentale di pensiero,di stampa,di religione e di associazione”,alla “sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso,di stirpe,di lingua,di classe,di religione” che compiuto il ventesimo di età “diventano legittimamente elettori ed eleggibili per tutte le cariche” che non dovevano avere durate superiori ai due ,massimo tre anni .A questi articoli si aggiungevano quelli altrettanto importanti della funzione sociale della proprietà privata,della iniziativa popolare delle leggi,del rispetto delle minoranze etniche e linguistiche “l’insegnamento primario è dato nella lingua parlata dalla maggioranza degli abitanti di ciascun comune e nella lingua parlata dalla minoranza in corsi paralleli”, della autonomia comunale e caso veramente unico un articolo “Della Musica”, dove la stessa è definita “istituzione religiosa e sociale” per cui con sovvenzione dello Stato dovevano istituirsi “corpi corali e strumentali”. La base della costituzione,oltre agli articoli ed ai principi sopra enunciati,era il lavoro, strana anticipazione del primo articolo dell’attuale costituzione italiana, inquadrato nelle “Corporazioni”,che avevano,a differenza di successive altre,una base ed una articolazione democratica .Quanto agli organismi rappresentativi qui si vedono le modifiche dannunziane che trasformano la “Camera dei rappresentanti” e il “Consiglio Economico” della stesura del De Ambris nel “Consiglio degli Ottimi” e nel “Consiglio dei Provvisori”,per finire con la “Corte della Ragione”,vera e propria anticipazione di una Corte Costituzionale.

Ci siamo volutamente soffermati su questa Carta del Carnaro per dare atto a d’Annunzio di una visione politica ed istituzionale che nulla ha in comune con regimi autoritari o dittatoriali e che,specie nella zone di confine,per quanto riguarda la tutela delle minoranze linguistiche avrebbe evitato sangue e vendette.

Prima però di parlare della poesia soffermiamoci sul rapporto tra d’Annunzio e l’istituzione monarchica: tralasciando per la giovanissima età dell’autore l’ode al “Re Umberto”,- nel XIV marzo MDCCCLXXIX - suo giorno natalizio -, abbiamo nel libro secondo delle Laudi, “Elettra”, la poesia “Al Re giovine”, Vittorio Emanuele III°, dove ogni strofa termina “Giovine,che assunto dalla Morte,fosti re nel Mare”, ricordando il fatto che il Principe,il giorno dell’assassinio del Padre,si trovava con la Principessa consorte in crociera nel Mediterraneo, e dove il poeta dopo una sintesi delle vicende risorgimentali che portarono all’Unità invoca “…che vorrai tu sul tuo soglio ? Quale altura è il tuo segno ? Miri tu lontano ?...Sai come sia bello il tuo regno ?...T’elesse il destino all’alta impresa audace…”. In effetti l’alta impresa audace vaticinata da d’Annunzio sarebbe giunta quindici anni dopo ed in quel quindicennio l’Italia,anzi l’Italietta, progrediva in tutti i settori della vita economica e sociale e la Famiglia Reale era un esempio a tutto il popolo per la sua vita sobria ed ordinata,ed il Re seguiva questo progresso,mai dimenticando,anche se non poteva esternare questi sentimenti,la mancanza di Trento e Trieste,al raggiungimento della unità nazionale. Questa Italietta nel 1911, anno del suo cinquantenario,grazie proprio al lavoro compiuto in quegli anni poteva accingersi all’ impresa di Libia e d’Annunzio, dal suo volontario esilio francese lancia le sue “Canzoni delle gesta d’oltremare”,che il “Corriere della Sera” ( oggi “quantum mutatus ab illo”), pubblicava a tutta pagina, una delle quali censurata logicamente dal Governo,essendo ancora l’Italia nella Triplice Alleanza,, per il violento attacco a Francesco Giuseppe,”… Egli è l’angelicato impiccatore, l’angelo della forca sempiterna…”. Quando si giunge al 24 maggio 1915 ritorna la perfetta sintonia tra il Re,”che dismesso l’ermellino “ si fa fante tra i fanti,e d’Annunzio che esalta la figura e l’azione del Re in un lungo articolo del 1917,pubblicato sulla rivista “Aprutium”,giustamente integralmente ripubblicato dal periodico “Italia Reale”,nel dicembre 2012,articolo che in parte era stato ripreso nella “Enciclopedia dei Ragazzi”,vol. VIII°, pag. 5458, editore Mondadori, pubblicata nel 1936, e di cui riportiamo questa frase significativa: ”… non teatrale imperatore di barbari,non capo di lanzichenecchi feroci, ma Re latino, semplice, sereno, intrepido. Egli è un’anima sola con l’anima dei suoi soldati…”. Questo dunque l’effettivo pensiero e giudizio di d’Annunzio sul Re,tralasciando i pettegolezzi o gli sfoghi senili che rovistando tra le carte qualcuno che dovrebbe curare l’immagine di d’Annunzio ha recentemente pubblicato.

Ed il poeta ? Dove studia e da dove nasce la sua poesia? Il giovane Gabriele entra il primo novembre 1874,in un prestigioso secolare collegio,aperto a Prato nel 1699 dalla Compagnia di Gesù,divenuto successivamente “Real Convitto Cicognini” e ne uscirà,dopo aver ottenuto la maturità,il primo luglio 1881. Riflettiamo un attimo sulle località e sulle date.D’Annunzio nascendo nel 1863 è cittadino italiano per cui Pescara e Prato,l’una in Abruzzo ,l’altra in Toscana fanno entrambe parte del Regno d’Italia e sono collegate con le ferrovie. Fosse nato dieci o più anni prima o se non fosse stata realizzata l’unità, dalle Due Sicilie,avrebbe dovuto attraversare con un passaporto lo Stato della Chiesa, e dopo aver cambiato moneta e dotatosi di un ulteriore passaporto sarebbe finalmente arrivato nel Granducato di Toscana,con ulteriore cambio di moneta e dopo un avventuroso viaggio in carrozza,non esistendo ferrovie !!!Anche in questo caso deve apprezzarsi l’unità d’Italia !

Ancora collegiale pubblica nel 1879 ,grazie al padre,la prima raccolta di poesie,”Primo vere”,nel 1881 la successiva “Canto novo”,dove “Canta la gioia – canta l’immensa gioia di vivere –d’essere forte,d’essere giovane – di mordere i frutti terrestri, - con saldi e bianchi denti…”, ancora con qualche ispirazione carducciana,poi in un crescendo nel 1883 “Intermezzo di rime”,nel 1886 “Isaotta Guttadauro”,nel 1893 il “Poema Paradisiaco” e le “Odi Navali”,poi le “Elegie Romane”,nel 1903 i primi volumi delle “Laudi”,”Maia” ed “Elettra”, nel 1904 “Alcione”,la terza “Laude”,e nel 1911 le “Canzoni delle gesta d’Oltremare”,riunite nel quarto libro delle “Laudi”,intitolato a “Merope”, ed infine le poesie del tempo di guerra riunite in “Asterope”,la quinta laude,il tutto per un totale di 63515 versi ! Logicamente in una produzione poetica di questa vastità vi sono momenti di stanchezza che è lo stesso d’Annunzio a riconoscere,come nel caso dell’Intermezzo,ma senza dubbio la Sua gloria poetica è legata alle prime quattro Laudi,alle quali possiamo aggiungere due lavori teatrali,la “Francesca da Rimini”,di cui dice:”Tu mi nascesti in riva al mare etrusco,o poema di sangue e di lussuria” ed alla “Figlia di Jorio”,lavori questi che mancano da quasi cinquant’anni dalle scene teatrali italiane!Se andiamo ad analizzare questa opera poetica possiamo convenire con Francesco Flora che nel paganesimo storico del Carducci,d’Annunzio “trovò quella parte bramosa e ferina…” per cui il Suo divenne un paganesimo sensuale e panico,vedi il grido “Il gran Pan non è morto” e le rielaborazioni di miti e leggende del mondo greco ed ellenistico,anche se in molti lavori vi è un contrasto tra due estremi,uno di sensazioni violente l’altro di sensazioni smorzate e crepuscolari valga esempio fra tutti “La morte del cervo” nell’Alcione e la “Consolazione” nel Poema Paradisiaco. Scendendo ad una ideale crestomazia della lirica dannunziana non possiamo dimenticare quella “Falce di luna calante – che brilli su l’acque deserte,-…quale messe di sogni –ondeggia al tuo mite chiarore qua giù !” (dal Canto Novo ),che sembra ritornare dopo anni in quella “Sera Fiesolana” dove “…la luna è prossima a le soglie – cerule…ove il nostro sogno si giace – e par che la campagna già si senta sommersa nel notturno gelo…”( dall’Alcione ),o l’inizio dell’Isotteo,”O madonna Isaotta il sole è nato – vermiglio in cima a’ l bel colle d’Orlando : ei su’ vostri balconi ha ravvivato –le rose che morian trascolorando….O madonna Isaotta,il sol che v’ama –con un lucido cantico vi chiama…” e nel “Poema paradisiaco” l’accorata mestizia della “O giovinezza, ahi me la tua corona –su la mia fronte già quasi è sfiorita.-premere sento il peso de la vita – che fu si lieve, su la fronte prona…”. Nelle “Odi Navali” che riprendono in poesia il convincimento già espresso che l’italia doveva assolutamente diventare una grande potenza navale ,come in realtà divenne in quegli anni intorno al 1890,vi sono nella “A una torpediniera nell’Adriatico “ i versi “Naviglio d’acciaio,diritto veloce guizzante – bello come un’arma nuda,- vivo palpitante – come se il metallo un cuore terribile chiuda;…messaggero primo di morte sul mar guerreggiato, -franco velite del mare – oh rispondi! Il fato – è certo; e a quel s’accendono i fuochi su l’are.”: Tornando alle Laudi,aventi il nome delle Pleiadi,se Maia “Laus vitae” è l’esaltazione del mito ellenico,dove sono ideali e principi di una morale eroica,ed il saluto finale “Al maestro”,Giosuè Carducci; l’Elettra rappresenta invece il d’Annunzio poeta civile,sia per l’ode “Al Re giovine”,di cui abbiamo già parlato,ma soprattutto per la “Notte di Caprera”,che è la più bella poetica rievocazione dell’impresa garibaldina che inizia : “Donato il regno al sopraggiunto re,- il dittatore silenziosamente – sul far dell’alba con suoi pochi sen viene – alla marina dove la nave attende…ora sen torna al sasso di Caprera – il dittatore. Fece quel che potè. – E seco porta un sacco di semente…tutto pensoso della seminatura – nei magri solchi…Ma ecco l’ombra di Caprera.Ecco l’aspra – Gallura…guarda le bianche mura ch’ei fece…è senza mutamento la povertà, è senza mutamento la pace.Il sacco delle semente è a piè – del letto..” e prosegue nel ricordo di tutti gli eventi della spedizione dall’incontro di Teano, alla battaglia del Volturno con momenti di alta poesia :”…era l’autunno intorno,- cadean le foglie dal tremolio dei pioppi – i campi…fumigavano sotto - l’aratro antico tratto dai bianchi buoi..cui rauco urgeva il bifolco - fasciato le anche dal vello del montone.( non ricordano questi versi le Fonti del Clitumno del maestro Carducci ?)….” E poi ancora i nomi e le gesta dei suoi compagni e risalendo nella memoria le vicende della difesa di Roma nel 1849 per finire, tornato a Caprera e fattosi anche pastore “…Or mentre giace…ode un belato. Belare ode un agnello - forse smarrito nelle rupi deserte;…e balza in piedi – il dittatore .Indossa le sue vesti -…ecco un che di bianco,..nell’ombra…l’uomo si china..sente il vello,prende la creatura di Dio..l’accoglie sul suo petto..col novel peso…sen va alla sua casa…il vento cade, il mare s’abbonaccia, il ciel s’imbianca…giunge all’ovile…senza indugio il pastore apre la porta e cauto depone al limitare il redo..bela dal roseo muso…chino alla porta ,dell’avido poppare si gode l’uomo,è pago…”.A questa epopea garibaldina si devono doverosamente ricordare,sempre per il loro carattere di poesia civile le odi “A Dante”, “Alla memoria di Narciso e di Pilade Bronzetti”,”Per i marinai d’Italia morti in Cina”,”Per la morte di Giovanni Segantini” e per la “Morte di Giuseppe Verdi” :”…Diede una voce alla speranze e ai lutti. – Pianse ed amò per tutti…”.

Anche la quarta Laude,”Merope”,che racchiude le dieci “Canzoni delle gesta d’Oltremare”,scritte in Francia e pubblicate sul “Corriere della sera”,è grande poesia civile,ispirate dalla guerra che il 29 settembre 1911 l’Italia dichiarava alla Turchia,e costituiscono un monumento alla storia ed alla cronaca. In esse si alternano i ricordi medievali delle nostre repubbliche marinare con le loro battaglie ed i loro condottieri ,con le vicende della guerra libica con i nomi dei soldati e marinai morti o feriti.La prima canzone è “La canzone d’oltremare”,con i versi “…Italia,alla riscossa,alla riscossa !-ricanta la canzone d’oltremare – come tu sai,con tutta la tua possa,…”,segue “La canzone del sangue”;”La canzone del Sacramento”;”La canzone dei trofei”; ”La canzone della diana”; ”La canzone di Elena di Francia”, dedicata alla Duchessa d’Aosta,crocerossina,consorte di Emanuele Filiberto, il futuro comandante della Terza Armata nella Grande Guerra,nella quale d’Annunzio rievoca la triste vicenda del Santo Re di Francia,Luigi IX, e poi “La canzone dei Dardanelli”,la canzone censurata per il suo violentissimo attacco all’Austria ed al suo Imperatore;”La canzone di Umberto Cagni”,dedicata al valoroso compagno del Duca degli Abruzzi nella famosa spedizione polare,e comandante dei marinai che sbarcarono ed occuparono Tripoli ,issando il Tricolore sul Castello. E interessante ricordare che ad Umberto Cagni a suo tempo aveva dedicato un inno anche Giovanni Pascoli.In questa canzone vogliamo ricordare alcuni versi dove si accenna all’amputazione di alcune dita congelatesi nella marcia verso il Polo,ed amputate :”…Penso la mano tua che dolorava – cominciando a morire,il ferro atroce…la volontà spietata e senza voce – che ti facea lo sguardo come il taglio – della piccozza…”;ed ancora “La canzone di Mario Bianco”,giovane guardiamarina,nativo di Fossacesiain Abruzzo, morto nello sbarco a Bengasi,sorpreso alle spalle da uno stuolo di Turchi,ed infine “L’ultima canzone” che termina :”…Così, divina Italia,sotto il giusto - tuo sole…andar ti veggo verso la tua vita – nuova, e del tuo silenzio far vigore, - e far grandezza d’ogni tua ferita.- Nella mia notte,sopra il mio dolore,- questa suprema imagine si spande.- Chiudila nella forza del tuo cuore.-Non n’ebbe la tua guerra di più grande.”.

E l’Alcione?La terza delle Laudi del cielo del mare della terra degli eroi ? Ma è qui la grande.la grandissima poesia ? Un critico straniero, Bruers , risponde “ E’ il poema del sole ,il canto dell’estate ( Estate,estate mia non declinare invoca il poeta),quale solamente un’anima mediterranea poteva concepire.La natura vi è celebrata nell’aspetto della creazione panica.La luce,i colori,i suoni sono tradotti,con la parola,nella loro massima potenza : l’ebrezza della vita nella sua totalità.” Che dire oltre di queste liriche che sono quanto di più perfetto abbia la poesia italiana : la parola si fa musica ,le sensazioni suono ,il mito realtà ,la realtà sogno.Ha importanza che siano state scritte in Versilia o a Marina di Pisa o a Fiesole, ha importanza chi fosse in quel momento la compagna del poeta,chi sia Ermione ? Queste indagini sul giorno in cui furono scritte ? E’ solo tempo che si sottrae alla lettura :ecco “Lungo Affrico”,dove le rondini “…volan elle si basso che la molle – erba sfioran coi petti, e dal piacere – il loro volo sembra fatto azzurro…”,e “La sera fiesolana” dove “le…parole ne la sera – ti sian come il fruscio che fan le foglie – del gelso ne la man di chi le coglie…e par che la campagna già si senta…sommersa nel notturno gelo e da lei beva la sperata pace senza vederla…” e si sente la diversa musica che fa la pioggia:” su i gelsi e su gli olmi e su le viti -…e su gli ulivi,su i fratelli ulivi che fan di santità pallidi i clivi e sorridenti…”,motivo che ritorna nella “Pioggia nel pineto”,culmine della musicalità dannunziana :”…Ascolta.Piove - dalle nuvole sparse - piove sulle tamerici –salmastre ed arse…piove sui nostri volti –silvani –su le nostre mani ignude – su i nostri vestimenti leggeri…e il pino –ha un suono, e il mirto altro suono …s’ode su tutta la fronda crosciare l’argentea pioggia che monda…che varia secondo la fronda più folta,men folta…e piove su la favola bella che ieri m’illuse,che oggi t’illude o Ermione:”. E le ninfe Versilia ed Undulna che escono dai boschi e dalle onde,la bocca di un fiume che il poeta assimila alla bocca di una donna,e l’estate che sfolgora ,e il mito di Icaro ed infine quel novilunio di settembre che segnala la fine dell’estate :”Novilunio di settembre !- nell’aria lontana –il viso della creatura - celeste che ha nome –luna…novilunio di settembre,- dolce come il viso –della creatura –terrestre che ha nome – Ermione” ed il ricordo improvviso della sua terra ,l’Abruzzo, con i suoi pastori che “lascian gli stazzi e vanno verso il mare;…e vanno pel tratturo antico al piano,- quasi per un erbal fiume silente…”per cui erompe quasi un grido “Ah perché non son io co’ miei pastori ?”

In conclusione possiamo affermare che la grande poesia dell’ultimo ottocento e dei primissimi anni del secolo scorso si può riassumere in tre opere ed in tre nomi : le “Odi barbare” di Carducci, “I poemi conviviali “ di Pascoli, l’Alcione di d’Annunzio,l’ultimo fiore della nostra grande letteratura umanistica. Perciò leggere che in occasione di questo centocinquantesimo anniversario della nascita non si è saputo pubblicare altro che la vita carnale di d’Annunzio ,basato anche su memorie di una cameriera amante,e questo da parte di persone che ne dovrebbero curare la memoria e rinverdire i valori autentici è motivo di profonda tristezza ,quando invece è oggi più che mai necessario ,per la salvezza dei nostri valori ,un nuovo umanesimo ed un appello a diffondere , a leggere e far leggere la grande poesia da Dante a d’Annunzio,passando attraverso Petrarca, Ariosto, Tasso, Foscolo, Leopardi, Manzoni, Carducci e Pascoli ! (Domenico Giglio)

 

 

 

Chiudi