Don Giovanni Censi, parroco della comunità ecclesiale di Gerano, ha voluto
gentilmente farmi omaggio di una sua pubblicazione dal titolo “Le chiese
di Gerano”, una delle sue numerose opere attraverso le quali, con accurate
e documentate ricerche, è riuscito ad illustrare la storia locale con
tutta la passione che sentiva di dovere nei confronti del luogo che lo ha visto
nascere. A me piace ricordare in particolar modo quella edita nel 1979, dedicata
al 250° Anniversario dell’Infiorata della Madonna del Cuore, la più
antica Infiorata d’Italia, sia perché in minima parte partecipai
alla ricerca della documentazione storica, sia perché qualche anno dopo,
e precisamente nel 1987, nel corso della mia Presidenza dell’Aurelium,
il quadro dipinto dal Sebastiano Conca nel 1729 con l’immagine della Madonna
del Cuore, in onore della quale viene allestita l’Infiorata, venne restaurato
dal Club Aurelium.
In quell’occasione fu oggetto di restauro, sempre grazie all’intervento
dell’Aurelium, anche il quadro della Madonna del Rosario, dipinto nel
1675 e attribuito a Luca Giordano e conservato nella stessa chiesa di S.Maria
Assunta.
La lettura del volume donatomi ha costituito per me fonte di grande interesse
per le notizie ivi raccolte e che hanno di molto ampliato il bagaglio di conoscenze
storiche e di costume che avevo di un luogo da me frequentato da oltre ottanta
anni. Ma la sua lettura ha altresì contribuito a farmi rivivere fatti
e ricordare persone che nei lontani anni ’40 mi hanno accompagnato nella
vita quotidiana e che si sono ripresentati con nostalgia, dolore, affetto e
anche con un po’ di rossore. Ma di tutto ciò parleremo dopo. Però
fin da adesso chiedo scusa al Presidente Testi (ormai Past, ma sempre Presidente)
e ai miei sempre più scarsi lettori se questo resoconto, da un certo
punto in poi, tenderà ad apparire più che una cronaca un “ritorno
al passato”, denso di personaggi e di episodi di quel tempo. Potrebbe
rappresentare il mio “canto del cigno”, al termine di un lungo periodo
impegnato a raccontare del nostro Aurelium.
Della chiesa parrocchiale di S.Lorenzo Martire, del cui arredo fa parte l’altare
oggetto del service dell’Aurelium, vi è traccia documentale nel
primo decennio del dodicesimo secolo; ma non è escluso che l’edificio,
diverso da quello attuale, esistesse già un secolo prima, eretto sul
cimitero geranese e quindi esterno al centro abitato, come voluto per legge
a Roma e altrove. E come luogo cimiteriale rimase anche dopo i lavori di ampliamento
della chiesa, conclusisi dopo undici anni nel 1797. La funzione cimiteriale
ebbe termine nel settembre del 1806, quando vennero estese anche in Italia le
direttive napoleoniche adottate con l’editto di Saint-Cloud del giugno
1804, che imponevano le sepolture fuori delle mura cittadine.
Dell’editto napoleonico e di quant’altro altro ancora connesso tutti
noi abbiamo ricordo, essendoci imbattuti, a suo tempo, nella lunga e difficile
composizione poetica del Foscolo, pervicacemente voluta mandata a memoria dal
nostro professore d’italiano!
Ma dell’altare che ci interessa abbiamo notizie certe leggendo il verbale
di consegna della chiesa dall’economo don Giuseppe Dari e don Antonio
Zaccaria, redatto in data 24 febbraio 1907: vi è citato l’altare
maggiore, realizzato in muratura e stucco tra il 1794 e il 1797, e il sovrastante
dipinto del martirio di San Lorenzo. Trattasi, quindi, di un’opera con
alle spalle oltre due secoli e che non era presente nell’originaria chiesa.
Era, quindi, più che scontato che dovesse essere affidato alle cure di
un restauratore perché intervenisse ad eliminare le inevitabili ingiurie
del tempo. E anche questa volta il Lions Club Roma Aurelium, in omaggio ad uno
dei dettatI degli Scopi del Lionismo, “Prendere attivo interesse al bene
civico, culturale, sociale e morale della comunità”, si è
fatto trovare presente e disponibile: grazie all’interessamento di don
Giovanni Censi, l’altare è stato lasciato nelle esperte mani dello
Studio Kòre di Teresa Ferrazzi da Castelmadama e nel giro di qualche
settimana è stato restituito all’antico splendore. E così
il Past Presidente Testi, accompagnato da alcuni Soci, ha potuto ammirarlo sabato
30 giugno, sontuosamente adagiato sotto l’abside della chiesa di S.Lorenzo.
E sulla chiesa di S.Lorenzo ancora una notizia: vi è conservata la statua
di S.Rocco, un giovane francese venuto in pellegrinaggio a Roma verso il 1368
e morto di peste sulla via del ritorno. E’ accertato che la venerazione
di questo santo da parte della popolazione di Gerano risale al 1581 e dobbiamo
arrivare al 1745 per vederlo ufficialmente festeggiato e venerato come Comprotettore
del paese, insieme alla Patrona S.Anatolia. La festività di S.Rocco cade
il 16 agosto di ogni anno.
Leggendo la pubblicazione di Don Giovanni, scopro una notizia che mi permette,
almeno come illusione, un sobbalzo di orgoglio come rivendicazione di notorietà
antica: nella chiesa di S.Maria Assunta, in una delle cappelle laterali, fa
bella mostra di sé una statua in cartapesta di S.Giuseppe, opera del
1900 di un tale Andrea Maggi, carabiniere a Gerano! E pensare che credevo, fino
a pochi giorni orsono, di essere stato io, insieme a mio padre, il primo dei
Maggi a respirare la salubre aria di Gerano nell’ormai lontano 1931! Vanto
da una parte e delusione dall’altra: le due circostanze si fronteggiano
e si elidono a vicenda e, quindi, tutto resta come prima.
Comunque, come accennato all’inizio di questo resoconto, l’iniziativa
del Past Presidente Testi per l’incontro del 30 giugno e la lettura del
libro di Don Giovanni hanno contribuito a far rivivere in me anni pieni di nostalgia,
alcuni di questi legati strettamente all’altare maggiore di S.Lorenzo.
Nei primi anni ’40, periodo in cui per ragioni di sicurezza la mia famiglia
soggiornò a lungo a Gerano, l’altare fu testimone della mia presenza
come chierichetto, fiero dei suoi due anni di latino che gli permettevano di
guardare dall’alto in basso e con disprezzo Nicola il quale, nel rispondere
all’invocazione del celebrante “Deus, tu conversus vivificabis nos”,
rispondeva con un indecifrabile “Plezie binte”, che doveva stare
per “Et plebs tua laetabitur in te”! Il presunto mio primato in
“latinorum” e la mia origine cittadina mi avrebbero dovuto, a mio
giudizio, consentire anche il dominio del campanello che, in alcuni momenti
della Messa, veniva scosso non con discreta partecipazione, ma forsennatamente.
Ma prima di questi attimi, l’arnese era oggetto di una lotta per il suo
possesso tra lo stuolo di chierichetti, comandati da Geremia e che affollavano
i gradini dell’altare e più di una volta il curato don Domenico
Felici era costretto a scalciare all’indietro come un mulo verso la torma
tumultuosa e litigiosa, chiedendo nel contempo scusa, almeno credo, a Nostro
Signore del quale stava celebrando il Sacrificio. Ma ricordo anche con nostalgia
quando nell’estate del 1944 mio fratello ed io ricevemmo da soli la Prima
Comunione, inginocchiati sui gradini dell’altare maggiore, circondati
dalla curiosità e dall’affetto di tanti coetanei, ai quali tutto
questo appariva nuovo e non ripetibile, vestiti bene come fosse una loro festa
oppure con indosso la divisa di chierichetto ben stirata.
E la nostalgia prende corpo anche quando ricordo le faticate a spingere il mantice
dell’organo, suonato durante le messe solenni e che accompagnava quell’antipatico
di Luigino Pisanelli, il quale cantava così bene l’Ave Maria di
Schubert; Luigino che tornava simpatico quando, nella falegnameria di famiglia,
realizzava al tornio magnifici picchi di legno con i quali trascorrevamo giornate
intere. E ricordo anche il sudore che ci inondava nel tirare la fune della campana
maggiore direttamente nella cella campanaria, che doveva suonare a stormo per
tutta la durata della processione del Patrono per le vie di Gerano. E si faceva
a gara a chi riusciva a far sbattere l’orlo della campana sull’arcata
della cella campanaria, urti dei quali forse ancora oggi vi è traccia.
E per me fu una vera scoperta sapere, e sperimentare, che la volta della navata
aveva due soffitti, tra i quali si poteva camminare e calare le corde che tenevano
sospesi grandi lampadari, che venivano fatti scendere per la loro manutenzione.
Ma non sono mancati momenti di grande dolore e paura. Dopo l’8 settembre
del 1943 le campagne circostanti Gerano vedevano il via vai di soldati sbandati
che cercavano in tutti i modi di tornare alle loro case, chiedendo vestiti borghesi,
cibo e acqua, un asilo qualsiasi, pur di sfuggire alle pattuglie di soldati
tedeschi che, oltre a dare loro la caccia e, talvolta, ad eliminarli sul posto,
si dedicavano a razzie di ogni genere, portandosi appresso, nella loro ritirata
verso il nord, animali e cose su cui potevano porre mano. E guai a chi si faceva
sorprendere a dare ascolto ai fuggitivi. Altro grande dolore ho provato quando
alcuni miei coetanei, scoperti ordigni bellici abbandonati da soldati in fuga,
hanno cercato di scoprirne i segreti: una tremenda esplosione ha accompagnato
più di una volta questo tentativo, dilaniando giovani corpi e inondando
di sangue luoghi e persone. Riziero, Mariano, Giggetto sono i nomi di alcuni
miei compagni di giochi che hanno pagato con la vita la loro curiosità.
Però ho scritto anche che vi furono episodi che provocarono in me rossori
di vergogna e timore perché vissuti con l’innocenza e la naturalezza
di una gioventù propria di quel tempo, non smaliziata e disinibita come
quella odierna. Mi riferisco ai rapporti con l’altra metà del cielo,
irraggiungibile in tutti i modi, per la costante e minacciosa presenza della
famiglia e per il senso di colpa grave, direi peccato, inculcato dai sacerdoti
quando si affrontava il tema del sesso. E allora cosa si poteva fare di più
di un tentativo di giocare al dottore e all’ammalata?
Giustamente a questo punto mi si potrebbe chiedere: Ma cosa c’entra tutto
ciò che ci stai raccontando con il service di Gerano?
Risposta: Certamente con il service nulla; ma con Gerano, sì. E tanto!
E sempre per colpa del Past Presidente Testi, il quale poteva proporre un service
a Canicattì: lì non ci sono mai andato. E poi: la vogliamo o no
concedere, almeno in extremis, a chi impugna la penna - sia pure elettronica
- una licenza poetica? (E. Maggi)
Carissimo don Giovanni!
Carissimi Amici!
Carissimi Paesani!
Questa riunione vuole essere sopratutto un incontro in Famiglia; non assisterete, quindi, ad una fredda Cerimonia; ecco perché ho ritenuto fossero fuori luogo vuote formule rituali!
È con grande commozione che mi appresto a consegnare a Te, don Giovanni, e, Tuo tramite, alla Comunità di Gerano, l’Altar Maggiore della Chiesa di San Lorenzo.
Chiesa a me particolarmente cara. Infatti – concedetemi il richiamo personale – qui fu battezzato, nel lontano 1868, il mio amatissimo Nonno Emilio, mentre alla ristrutturazione di detta Chiesa concorse – sul finire del XVIII secolo – il mio quadrisavolo, Leonardo Lelli.
Anche per tali ragioni sentimentali, quando la Commissione per l’assegnazione dei Services del mio Lions Club di Roma Aurelium, senza che avessi posto in essere pressioni alcune, scelse l’Altare di San Lorenzo, il mio cuore palpitò di indiscrivibile gioia.
Se è certo che la Famiglia è il nocciolo entro cui la persona trova conforto e spinta nel lungo cammino della nostra esistenza, non vi è dubbio che la fortuna di vivere in un centro di poche Anime come il nostro ci rafforza di più, facendoci sentire parte di un mondo che viene da lontano e va oltre il futuro.
Con questo Service, dunque, sono convinto di aver ottemperato: sia alla "Missione dei Lions", che è quella «di servire la loro comunità», sia ad uno degli scopi principali della Associazione Internazionale dei Lions Clubs, quello di «prendere attivo interesse al bene civico, culturale, sociale e morale della comunità».
Ben a ragione la Comunità di Gerano è stata scelta dal Consiglio Direttivo del Lions Club di Roma Aurelium, come luogo in cui operare per questo anno; a Gerano, non sono legato solo io, ma anche l’amico Lion e paesano: Enzo Maggi, che provvide, durante il Suo Presidentato, al restauro della Sacra Immagine della nostra «Madonna del Cuore». Gerano è stata meta di tante allegre gite alla villa di Cira ed Enzo. Durante la nostra Annata, la mia Angela ed io abbiamo organizzato parecchi incontri nella nostra Residenza: l’Assemblea Plenaria dei Soci e il Consiglio Direttivo; la Festa di Primavera per la raccolta di fondi e altre simpatiche riunioni.
Grazie infinite, quindi, a don Giovanni per aver dato al nostro Club
la possibilità di tener fede all’impegno del Lions International:
WE SERVE!
Intervento del Presidente
Lapide che ricorda il primo restauro
Intervento del Parroco Don Giovanni
Intervento del Sindaco
Altar Maggiore prima del restauro
Altar Maggiore dopo il restauro
Targa
Targa in sito
Intervenuti