Mi accingevo a scrivere un breve commento sulla interessante pubblicazione redatta dalle amiche Teresa Manzaro e Cristina Colletti relativa al confronto tra i generi femminile e maschile, atto conclusivo di un incarico ricevuto dal Presidente Chiricotto nel corso della sua annata, e ero perplesso sul taglio da dare all’intervento, quando la mia attenzione è stata attirata da una manchette a fondo pagina 13 della rivista LION dello scorso mese di settembre, il cui argomento era il rifiuto di alcuni club lions maschili di accogliere le donne come socie. Avendo letto più di una volta l’opuscolo, non mi è stato difficile rintracciare il dialogo, da me chiosato a margine, che fin dall’inizio mi era sembrato ispirato da una problematica ben più ampia di quelle che attenevano alla quotidianità, rivolta ai rapporti familiari e di lavoro, pur sempre importanti ma affatto racchiusi in una visione parziale, sia familistica che sociale. Il dialogo era quello immaginato tra Isabella e Daniela, che invito tutti ad andare a rileggere o sulla pubblicazione cartacea, distribuita a tutti, o sul sito del nostro club, riprodotta per intero nella annata 2013-2014; e che veniva riproposto al mio interesse grazie al fondo pagina di cui sopra. Con estrema signorilità e molto tatto, probabilmente attente a non urtare sentimenti e convinzioni personali, le due protagoniste ricordano le difficoltà incontrate per “rompere gli schemi” che da sempre vedevano le donne “abituate all’obbedienza”, con l’uomo che “meritava più rispetto”, perché “educate alla superiorità del maschio”; le “grandi lotte e lunghe discussioni per avere il permesso” di fare e dire ciò che “ai nostri fratelli era riconosciuto di diritto”. La “rottura degli schemi” non è stata né facile né pronta, “in alcuni casi più rumorosamente”: sottinteso garbato richiamo al quel movimento chiamato “femminismo”, sorto addirittura prima della Rivoluzione francese e che, manifestatosi in varie posizioni teoriche e in maniera diversa da paese a paese, aveva uno obiettivo primario e fondamentale: eliminare alla radice ogni tipo di subordinazione, realizzando le pari opportunità tra uomini e donne, dalle quali sarebbero poi derivate la identità sessuale e la identità di genere. In Italia, come in definitiva in tutti gli altri paesi, il movimento ha conseguito i suoi successi attraverso mobilitazioni e lotte anche cruente: si possono ricordare gli scontri con la polizia avvenuti a Roma l’8 marzo del 1972, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, che causarono anche alcuni feriti. E al movimento femminile sono da attribuire indubbiamente una serie di successi sia nel campo sociale che in quello personale, anche se proprio dall’interno del movimento stesso vengono alcune critiche che avanzano seri dubbi sulla validità della conseguita parità giuridica e sociale: ad esempio, negli anni settanta, la scrittrice e critica d’arte Carla Lonzi definisce l’eguaglianza tra i sessi “…la veste in cui si maschera oggi l’inferiorità della donna.” Comunque, è innegabile che oggi la posizione giuridica della donna nella società moderna non è neppure lontanamente paragonabile a quella di appena pochi decenni addietro. Anche per il nostro paese. Basti solo pensare che fino al 1946 alle donne italiane non era riconosciuto l’esercizio del voto. Su questo argomento anche gli uomini avevano dovuto attendere il 1912 per godere del suffragio universale! E quello femminile, nei paesi occidentali, ha avuto un percorso molto diversificato: dai primi anni del 1900 al 1930 ben quattordici paesi lo hanno adottato; gli altri hanno dovuto attendere. Sembra strano, ma anche in Francia si è arrivati al 1944; e poi nella civilissima Svizzera addirittura al 1971! Ma l’esercizio dei diritti civili da parte della donna, se decisamente molto importante, non è che un aspetto della sua posizione all’interno della società; e nel rivendicare la totale parità dei due generi la donna non ha incontrato - e non incontra talvolta anche oggi - una sponda favorevole nei regimi al potere e neppure nelle religioni praticate nel mondo, specialmente quelle monoteiste. Restringendo il campo al cristianesimo, e lungi da me l’insana presunzione di affrontare l’argomento in maniera dottorale ed esaustiva, mi limito a richiamare le citazioni contenute nella manchette provocatoria le quali, nel sostenere l’assunto della diversità tra uomo e donna, chiamano in causa esponenti del calibro di Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino, Tertulliano, San Geronimo. Addirittura San Paolo, nel cui pensiero sulla donna mi ero imbattuto tempo addietro, leggendo il libro di Riccardo Calimani “Paolo: l’Ebreo che fondò il Cristianesimo”, laddove si commentava la prima lettera di Paolo ai Corinzi. E l’ignoto interlocutore conservatore, protagonista dello scambio di opinioni, chiude il florilegio delle citazioni rievocando Bernardo da Como, grande inquisitore (guarda caso!) del cinquecento, il quale affermava di non riconoscere alle donne un’anima! Affermazioni aberranti che per fortuna stanno crollando in tutto il mondo; anche se purtroppo non mancano ancora episodi di fondamentalismo religioso di una crudeltà incredibile. Per ciò che attiene alla Chiesa cattolica, si deve prendere atto con soddisfazione che tutte le convinzioni espresse nei secoli passati da padri e dottori della Chiesa, compresi quelli sopra citati, stanno man mano crollando sotto l’energica spinta degli ultimi pontefici, ad iniziare da Giovanni XXIII, il quale volle che ai lavori del Concilio Vaticano II del 1962 vi fosse una vasta partecipazione femminile, ritenendo la sua presenza nella Chiesa e nella società civile uno dei segni del tempo. Oggi, il documento più importante ed esplicito lo si deve a Giovanni Paolo II con l’Enciclica “Mulieris dignitatem”, pubblicato nell’agosto del 1988 e interamente dedicato alla donna. In un recente documento del Pontificio Consiglio per i Laici possiamo leggere: “Giovanni Paolo II conduce un’analisi antropologica alla luce della Rivelazione per ricavare (….) verità fondamentali quali la pari dignità dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio.” Sigillo più autorevole, elevato e conclusivo sulla pari dignità non ci si può attendere! |